Vergarolla, 79 anni fa il mare si tinse di rosso: la ferita dimenticata della più grave strage della Repubblica Italiana
Il 18 agosto 1946, durante una gara sportiva sulla spiaggia di Vergarolla a Pola, un attentato di matrice comunista spezzò la vita di 110 persone, in gran parte bambini e famiglie. Una pagina di storia ancora senza una adeguata commemorazione ufficiale da parte dello Stato

Ricostruzione AI
Un’esplosione che cambiò la storia di Pola
Il 18 agosto 1946, una domenica di sole, la spiaggia di Vergarolla, nella periferia sud-ovest di Pola, era gremita di persone. La Società nautica Pietas Julia, di orientamento patriottico, stava celebrando il 60° anniversario dalla fondazione con tre gare natatorie. L’afflusso fu eccezionale: c’erano famiglie intere, polesani e profughi provenienti dalla Zona B, tutti italiani filo-italiani. L’unica squadra filo-jugoslava partecipante alle gare mattutine non era presente al momento dello scoppio.
Tra la pineta e la spiaggia giacevano incustoditi, fin dal maggio 1945, numerosi ordigni navali: teste di siluro, cariche di demolizione al TNT, bombe fumogene e mine di profondità. Erano reclamati dalla Jugoslavia come preda bellica, ma formalmente sotto la responsabilità del Governo Militare Alleato (GMA) in attesa della Commissione sui bottini di guerra. Nessuna recinzione, nessuna custodia, nessun cartello: i bagnanti ci passavano accanto, vi stendevano sopra asciugamani, e i bambini vi giocavano.
Alle 14.15, la tranquillità si trasformò in orrore. Una colonna di fuoco si alzò, seguita da un boato assordante e da un’onda d’urto che ruppe finestre, scardinò imposte, fece tremare gli edifici per chilometri. La pineta prese fuoco, il mare si tinse di rosso. Le persone vicine agli ordigni furono dilaniate o scaraventate a distanza; i corpi mutilati finirono in acqua, sugli alberi o a terra.
Il sacrificio di Geppo Micheletti
In mezzo a quella scena apocalittica, il chirurgo Geppino Micheletti, presidente della società sportiva organizzatrice, si precipitò a soccorrere i feriti, nonostante avesse appena perso i suoi due figli, il fratello e la cognata. Continuò a curare e salvare vite fino a quando non crollò sfinito. Nel 2025, la Presidenza della Repubblica gli ha conferito alla memoria le medaglie “al merito della Sanità Pubblica” e “ai Benemeriti della Salute Pubblica”, riconoscendo il suo estremo sacrificio.
Un attentato di matrice comunista
I morti identificati furono 64, ma le stime reali oscillano tra i 110 e i 116, considerando i dispersi, molti dei quali erano profughi non registrati all’anagrafe. Secondo la relazione storica di Paolo Radivo, le indagini anglo-americane stabilirono già il 10 settembre 1946 che l’esplosione non fu accidentale, ma “provocata deliberatamente”. I sospetti si concentrarono sulla polizia segreta jugoslava OZNA, fedele al maresciallo Tito, decisa a eliminare la presenza italiana in Istria. Dopo la caduta del comunismo, l’apertura degli archivi di Stato sloveni e croati ha confermato il coinvolgimento jugoslavo.
Le testimonianze raccolte subito dopo la strage parlano di micce, fili elettrici e inneschi simili a quelli usati nelle miniere controllate dai titini. Alcuni videro una piccola imbarcazione con bandiera jugoslava allontanarsi dalla zona poco prima dello scoppio. Altri sentirono frasi sinistre pronunciate nei giorni precedenti: «Vedrai che bello spettacolo ci sarà domani a Vergarolla» e «Questa sarà una bella lezione per loro».
La strategia del terrore
Radivo documenta come l’attentato si inserisse in un contesto di pressione politica e militare: minacce di “stragi” contro manifestazioni italiane, ordigni scoperti a Trieste pochi giorni prima e un clima da vigilia di guerra, con reparti jugoslavi e ufficiali russi in manovra vicino a Pola. L’obiettivo era fiaccare lo spirito della comunità italiana, demoralizzarla e spingerla ad abbandonare la città, facilitandone così l’annessione alla Jugoslavia.
Le parole di Piero Tarticchio
Il giornalista e presidente del Centro di cultura Giuliano-Dalmata, Piero Tarticchio, ha più volte denunciato l’assenza di una commemorazione ufficiale: «Perché l’Italia non commemora le vittime di Vergarolla?» ha chiesto, ricordando che al trattato di pace mancavano sei mesi e che la strage fu decisiva nel convincere molti polesani all’esodo.
La più grave strage della storia repubblicana
La strage di Vergarolla è considerata la più grave strage della storia della Repubblica Italiana per numero di vittime. L’Italia era diventata repubblica appena due mesi prima, il 2 giugno 1946, con il referendum istituzionale che sancì la fine della monarchia. I cittadini di Pola, però, non furono chiamati a votare, poiché la città si trovava in Zona A sotto amministrazione anglo-americana e in piena disputa territoriale con la Jugoslavia. Eppure, la maggior parte dei polesani si dichiarava repubblicana e sentiva forte il legame con la madrepatria, un legame che l’attentato di matrice comunista mirò a spezzare nel modo più brutale.
Una tragedia dimenticata dallo Stato
Nonostante le prove storiche e le testimonianze, lo Stato italiano non ha mai istituito una giornata di memoria nazionale per la strage di Vergarolla. La ricorrenza è mantenuta viva soltanto dalle associazioni degli esuli e da alcune realtà locali. Questa assenza, unita all’omertà che ancora circonda l’identità di alcuni esecutori, rappresenta una ferita aperta per i discendenti delle vittime.
Dove riposano i resti delle vittime
I resti delle vittime della strage di Vergarolla, soprattutto quelli non identificabili o frammentari, furono raccolti e sepolti presso il cimitero di Pola. In una tomba comune riposano 26 vittime i cui corpi non poterono essere ricomposti, vittime spesso dilaniate o ridotte a brandelli che ne impedivano l’identificazione. Questo luogo di sepoltura resta un simbolo silenzioso e doloroso della tragedia: un ossario che, pur lontano dai riflettori della storia ufficiale, conserva la memoria di chi non ha avuto neppure il conforto di un nome.
La memoria come dovere
Ricordare Vergarolla significa riconoscere il prezzo pagato dalla comunità italiana dell’Istria e dal confine orientale, vittime di un’azione terroristica di matrice comunista durante la Guerra fredda. Significa dare giustizia a chi perse la vita in un giorno di festa, e a chi, come Geppo Micheletti, trasformò il dolore in coraggio.
Una verità scomoda taciuta per decenni
Per oltre mezzo secolo, la strage di Vergarolla è rimasta ai margini della memoria pubblica italiana. Parlare apertamente di un crimine di matrice comunista, in un Paese dove per decenni la retorica ufficiale e una parte della storiografia avevano idealizzato il 25 aprile come festa della Liberazione, era considerato politicamente scomodo. In Istria, a Fiume e in Dalmazia, quella data non fu mai celebrata: per le popolazioni italiane di quei territori non significò la libertà, ma il passaggio immediato dal regime nazifascista al regime comunista jugoslavo del maresciallo Tito, caratterizzato da repressioni, deportazioni, processi sommari, foibe ed esodi forzati. In questo contesto, Vergarolla fu per molti una ferita doppiamente dolorosa: non solo per la brutalità dell’attentato e il numero delle vittime, ma anche per il silenzio che lo avvolse, un silenzio che ha impedito per decenni una piena assunzione di responsabilità storica e politica.
Il riconoscimento nella scuola e nei libri di storia
Negli ultimi anni, un passo importante verso il recupero della memoria di Vergarolla è stato compiuto grazie all’impegno dell’ex Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che, insieme al tavolo permanente istituito presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, si è adoperato affinché la strage fosse riportata in modo corretto e completo nei libri di storia utilizzati nelle scuole italiane. Ancora oggi, infatti, esistono testi didattici che non le danno il giusto rilievo o addirittura non la citano affatto; in altri casi, viene liquidata come un “danno collaterale della guerra”, ignorando che il conflitto era già terminato e che si trattò di una strage di matrice comunista pianificata in tempo di pace. Un lavoro di verità e di onestà storica, quello promosso da Sangiuliano ( e oggi dal suo successore) e del tavolo permanente, che mira a restituire a Vergarolla il posto che merita nella coscienza nazionale e a far sì che le nuove generazioni conoscano questa pagina rimossa della nostra storia.
Giulio Carnevale