Tra maschere, fragilità e autenticità in “Sei bella se” Nikita Pelizon racconta emozioni, relazioni e la libertà di mostrarsi vulnerabili
Pelizon: « la canzone è nata da una frequentazione con un uomo sposato e dopo una relazione durata un'anno e mezzo. L'ho scritta di getto, piangendo. Nelle relazioni ero accettata solo nella mia versione più leggera. Il Grande Fratello ha fatto nascere in me il bisogno di togliermi tutte le maschere»
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«Voglio essere bella così, con tutto ciò che porto: le luci, le ombre e ogni frammento di me»
Nel brano parli di un “sorriso che si incrina”. Da dove nasce
questa immagine?
Nasce da un momento in cui stavo davvero male. L’ho scritta
di getto, in pochissimi minuti, piangendo. Ripensavo agli ultimi anni della mia
vita: tutti che mi dicevano “sei più bella quando sorridi”, come se il mio
valore fosse legato solo a quello. Mi sentivo obbligata a indossare una
maschera, soprattutto sui social, dove dovevo mostrarmi sempre positiva,
colorata, performante.
Questa maschera ha influito anche sulle tue relazioni personali?
Tantissimo. Nelle relazioni e nelle frequentazioni mi sono
spesso sentita accettata solo nella mia versione più leggera. Quando provavo a
parlare di come stavo davvero, risultavo pesante. Era come se fosse preferita
la “me” sorridente, non quella vera. Questo mi ha fatto riflettere su quanto
poco spazio diamo all’ascolto emotivo, non solo al fare e all’apparire.
Nel testo canti: “Rimarresti accanto alle mie ombre?”. È una
domanda rivolta a te stessa o a qualcun altro?
A entrambi. In passato facevo fatica a restare accanto a chi aveva problemi, perché ero più superficiale, con il tempo però cresci, ti evolvi, e capisci i tuoi sbagli. Così “Sei bella se” nasce da un momento di grande sofferenza sentimentale e sociale. Mi sentivo sempre disponibile ad ascoltare gli altri ormai, quasi nel ruolo dell’infermierina, ma io non mi sentivo mai davvero ascoltata.
Ti sei mai sentita vista più come un’immagine che come una
persona?
Sì, spesso. Mi sono sentita trattata come una bambolina,
come una Barbie: bella da guardare, ma non da ascoltare. E a un certo punto ho
capito che non è giusto, non lo meritavo.
Quanto è stato difficile esporsi così tanto in un panorama pop
che spesso evita la vulnerabilità?
È stato difficile, ma necessario. Questa canzone è uscita
per esigenza. Ho fame di autenticità, voglio liberarmi dei pesi. Certo, quando
mia madre la ascolta mi sento anche in imbarazzo, perché è come sentire me
stessa completamente nuda. Ma non voglio più tornare indietro.
Una frase molto forte del brano è: “Voglio essere bella così, con
tutto ciò che porto”. Cosa hai smesso di nascondere?
Ho smesso di dire “va tutto bene” quando non è vero. Anche
con persone che conosco poco. È diventato un modo per capire se dall’altra
parte c’è un interesse reale o solo educazione.
E cosa hai iniziato ad accettare di te stessa?
Le mie ombre. Avevo costruito un mondo fatto solo di luce,
colori, positività forzata. Bellissimo, ma anche alienante. Ho capito che non
posso pretendere di essere felice 365 giorni l’anno. Non è possibile, è
un’utopia.
Sei un’artista a 360 gradi: dipingi, canti, scrivi. Se questa
canzone fosse un’immagine o un simbolo, quale sarebbe?
È un manifesto emotivo. Non è solo una canzone: è il mio
cuore messo a disposizione. Oggi ho capito che devo averne cura, perché l’ho
massacrato troppe volte.
Oggi, cosa chiederesti alla persona che vorresti accanto a te?
Gli farei ascoltare questa canzone. Basta quella per capire
cosa voglio: un amore libero, senza restrizioni, dove si è liberi di parlare,
di essere se stessi, senza paura e senza condizionamenti. Voglio essere
accettata in ogni sfumatura, nei momenti up e down.
Questa canzone arriva dopo “Maschere” ed è parte di un percorso
molto coerente. Come lo descriveresti?
È come Pollicino: “Maschere” ha iniziato il cammino, questo
brano ha messo le prime briciole lungo la strada. È il percorso del togliersi
le maschere, passo dopo passo.
Ci puoi anticipare qualche retroscena sul videoclip della canzone?
Nel videoclip ho voluto inserire una scena particolare. Stavamo iniziando il montaggio di notte, quando mi è venuta un’idea improvvisa: dovevamo uscire di casa per realizzarla. Siamo quindi andate a girare davanti al Wall of Dolls di Milano, il muro dedicato alla violenza sulle donne, chiamato anche “il muro delle bambole”. Ho pensato che questa canzone potesse diventare la voce di tutte quelle donne che non ce l’hanno più, a cui è stata tolta la possibilità di raccontare il loro amore, di esprimere ciò che avrebbero voluto vivere. Molte di loro, provando a chiedere aiuto a un’associazione, hanno trovato tempi della legge troppo lunghi, e in quel lasso di tempo hanno perso la vita. Altre cercavano di uscire con lividi, senza poter raccontare nulla, mentre tutti guardavano senza fare niente. Si sentivano impotenti. Ho voluto inserire questo messaggio nel videoclip perché secondo me non basta parlarne solo il 25 novembre; e, anche nelle scuole, bisognerebbe sviluppare un percorso di intelligenza emotiva ed empatia: sarebbe davvero necessario.
C’è una persona precisa che ha ispirato questa canzone?
Sì, assolutamente. È nata da una frequentazione che stavo
vivendo in quel periodo, con un uomo sposato che diceva di essere in fase di
divorzio. Ed è una cosa che va contro una promessa che mi ero fatta: mai più
uomini sposati. Ma quando stai male, spesso non riesci a mantenere le promesse
che fai a te stessa.
Nel brano confluiscono anche esperienze passate?
Sì. C’è anche una relazione precedente, durata un anno e mezzo, che è iniziata proprio in un momento dove tutti da me volevano il tag sui social, o la foto mentre lui grazie a dio non calcolava il mondo quando stavamo insieme. Peccato che poi io ho sviluppato una dipendenza emotiva, senza rendermene conto, e lui ad ogni viaggio si vedeva con altre, anche portandole ad eventi pubblici e negava sempre nonostante le prove evidenti. Come ho detto per me un rapporto necessita di sincerità e rispetto. Pensa che dopo un anno, volevo renderla pubblica ma poi scoprivo le cose che ti ho detto e ci ripensavo.
Cosa ti fa decidere che una relazione va pubblicata sui social, perché tu sei comunque un personaggio pubblico, quindi stai quasi costretta a pubblicare la tua vita. Ma ti senti davvero libera di doverle pubblicare perché hai voglia tu oppure perché ti senti costretta dalla gente?
Inizialmente mi sono sentita pressata per farlo, però non ho mai voluto che il gossip facesse parte del mio personaggio pubblico, che nel mio caso è la mia persona pubblica, decisione che nel tempo mi sono un po' pentita, ammetto. Ho capito però che sei tu a gestire come vuoi che la gente ti segua. Quindi ho voluto farlo con l'arte, con la musica. Quando dico che volevo pubblicarlo era perché veramente ero presa da quel rapporto, ero sicura e quindi mi veniva la voglia di dire al mondo che ero fidanzata…sicuramente quando sarò molto innamorata e sicura lo pubblicherò.
Però ti piace condividere questo lato della vita?
Si mi piace perché è un lato anche quello della vita e a me piace. Seguo per esempio Paola Turani. Amo la sua semplicità e lei sta con un uomo che a me fa morire da ridere quando fanno contenuti. Ecco, io farei più contenuti così, evitando quelle didascalie super romantiche.
Il Grande Fratello ha segnato molto il tuo percorso. Che rapporto
hai oggi con quell’esperienza?
Mi ha segnata profondamente. Se lo rifacessi oggi, entrerei diversa. All’epoca lasciavo correre troppe cose, mi sono sentita calpestata nel tempo. Anche da lì nasce il bisogno, oggi, di togliermi tutti i pesi che sento. Grazie a quel percorso è nata Maschere e sono nati moltissimi quadri.
Dal punto di vista musicale, come è nata la produzione del brano?
È stato un lavoro di squadra con Studio Kashmir Milano e
altri producer. Io avevo già in testa testo, melodia e linea vocale, poi
insieme abbiamo costruito il resto.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi obiettivi?
Trovare un team fisso con cui lavorare e un manager che segua la parte organizzativa. Io voglio dedicarmi completamente all’arte, è lì che sento di appartenere davvero. Vedremo cosa la vita ha in serbo.
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