"L’aquila nera. Una storia rimossa del fascismo in Albania", saggio storico/romanzo autobiografico di Anita Likmeta
L'angolo del libro, recensione Paolo Rausa

Il Paese delle aquile. Così vicino eppure così lontano dalle coste salentine dove son vissuto fino all’età giovanile, nei pressi di Otranto, proprio di fronte alle montagne che sorgono dal mare e che gli anziani nominavano per nome come se fossero le proprie. Ahi, la terra mia, de fronte all’Albania… canta nelle sue estenuanti nenie ritmate Claudio Cavallo, voce storica dei Mascarimimì di Muro Leccese. La nostra terra che vive di riflesso, la comunità arbëreshë in Puglia e in Calabria con il monumento a Scanderberg eponimo che troneggia cavalier invitto nelle piazze dei centri cittadini, la popolazione italica preromana dei Messapi nella penisola salentina proveniente dai lidi opposti dell’Epiro… Nell’accingermi a leggere questo saggio storico/romanzo autobiografico di Anita Likmeta sono pervaso da mille suggestioni. Sempre con l’idea di voler visitare il paese di fronte ogni qualvolta mi reco a ri/vedere la mia terra, il Salento, ma sempre distolto da mille altre sollecitazioni e urgenze.
Questo libro rappresenta la spinta finale, la goccia ultima prima del trabocco, quel là che forza l’uscio per guardare dentro casa, che sarebbe dentro me stesso. E allora mi faccio guidare dai ricordi di Anita che vive il dramma irrisolto di essere nata a Durazzo, l’antica Dyrrachium, punto di partenza della Via Egnathia per le legioni romane che giunte a Brindisi dalla Via Appia e transitate qui via mare si predisponevano a raggiungere dopo molte fatiche e innumerevoli marce quasi la fine dell’impero a Byzantium/Costantinopoli. Anita ri/conosce la sua storia, il sogno di un paese guidato dal re Zog, invaso dalle truppe italiane il 7 aprile 1939 questa volta guidate non dal generale romano Pompeo per debellare i pirati ma dal fascista Gian Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero di Mussolini. Anita fa luce su questa vicenda storica, smascherando la politica di finta amicizia e generosa protezione del governo italiano, tesa ad occupare un paese libero e autonomo, geloso delle proprie radici, messo in discussione dalle politiche invasive devastatrici del regime fascista italiano in combutta con i nazisti della Germania.
Una questione di confini, spostarli sempre più a est, l’Albania come avamposto degli interessi nei Balcani. Quel dio Terminus tanto caro agli antichi romani che definiva il pomerium sposta l’asticella più a Oriente per poi espandersi nei calcoli di Mussolini verso la Grecia e la Jugoslavia complice l’alleato tedesco. Anita, ragazza, mentre gioca nel giardino degli ulivi è sconvolta dall’apparire di un osso superficiale e scava fino a scoprire lo scheletro di un giovane uomo e poi di altri. Corre di corsa piangente dalla nonna, ha bisogno di capire. Italiani, sono giovani italiani, qui sepolti dopo essere venuti dall’altra parte del mare per obbedire agli ordini superiori e invadere e occupare un altro paese ma hanno trovato la morte nel reagire all’ex alleato dopo l’8 settembre del 1943, data dell’armistizio con gli anglo-americani. Anita scopre che l’Italia non è una, cieca e obbediente agli ordini del Duce. Vi è un’altra Italia di antifascisti e resistenti che lotta contro il regime dittatoriale.
Anche in Albania il progetto fascista trova forme di resistenza individuali e collettive che si esprimono soprattutto nell’insurrezione di Shijak, una piccola cittadina tra Durazzo e Tirana. Come tutti gli invasori, gli italiani impongono lo studio della propria lingua e l’uso delle leggi e della cultura dominante su quella locale. E’ ora che anche l’Italia cominci a fare luce ufficialmente sugli eccidi commessi dal suo esercito e dalla sua aviazione in Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia, Slovenia, ecc., scrive Anita. Così come hanno cominciato a fare la Francia per le colonie in Africa e in Algeria e l’Inghilterra nel Commonwealth, facendo anche circolare i film che lo raccontano come “La battaglia di Algeri” del 1966 diretto da Gillo Pontecorvo e “Il Leone del deserto” del 1981 sulla occupazione italiana della Libia, diretto da Mustafa Akkad con Antony Quinn.
Tappe drammatiche segnano la storia del dopoguerra nel Mare Adriatico: la Vlora stracarica di albanesi in fuga a Bari l’8 agosto 1991, la tragedia della Katër i Radës il 28 marzo 1997 nelle acque di Otranto, non un incidente ma uno speronamento da parte della nave Sibilla della Marina Italiana, i migranti della Open Arms in attesa infinita e tutti coloro che in fuga dal proprio paese hanno contribuito loro malgrado a fare del Mare Nostrum un cimitero senza croci e senza nomi. Ancora una volta l’Albania nei piani del governo italiano attuale è terra di riporto dove scaricare migranti esuli indesiderati. “Io non posso dimenticare. Io scrivo. Scrivo perché la memoria è l’unico antidoto al silenzio”, dichiara Anita.
I
pensieri scorrono, albanese di nascita e italiana di adozione, questo suo libro
è anche un estremo tentativo per riconciliare la sua e la nostra esistenza con
il proposito e la determinazione, chissà, di poter cambiare registro
riconoscendo gli errori compiuti e porvi rimedio per l’avvenire.
Paolo Rausa
Scheda del libro
Titolo: L’aquila nera. Una storia rimossa del fascismo in Albania
Autore: Anita Likmeta
Editore: Marsilio, collana Gli specchi
Anno e data di uscita: 2025 – in commercio dal 15 aprile
Formato: Brossura
Pagine: 176
EAN: 978-88-297-9222-1
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