“Storia delle prime volte”: il viaggio nomade e interiore di Stiliana Milkova

Una giovane autrice bulgara racconta vite in transito tra lingue, paesi e identità, costruendo un mosaico di storie intime e universali. Storia delle prime volte è un'opera raffinata che esplora il disorientamento, la nostalgia e la ricerca di appartenenza nel mondo contemporaneo.

Storia delle prime volte di Stiliana Milkova è una raccolta di dieci racconti che compongono un atlante emotivo e intellettuale dell’esperienza migrante, linguistica e culturale tra l’Europa dell’Est, l’Italia e gli Stati Uniti. Scritto in un italiano preciso e vibrante da un’autrice di madrelingua bulgara residente in un paese anglofono, il libro si muove agilmente tra spazi geografici e interiori. I personaggi – traduttrici, studiosi, giovani donne in cerca di sé – si intrecciano in una narrazione corale fatta di sradicamenti, scoperte e prime volte, tracciando un ritratto raffinato e autentico dell’identità in movimento. Milkova costruisce un dialogo sottile con la letteratura italiana contemporanea, e lo fa con una scrittura elegante, sensibile, a tratti lirica, sempre consapevole.

Telegraph Avenue come punto di partenza
Il primo racconto, Telegraph Avenue, apre il volume con una forza visiva e narrativa sorprendente. Ambientato tra Berkeley e Oakland nei primi anni Duemila, segue una giovane dottoranda bulgara appena arrivata in California, spaesata ma determinata a costruire una nuova vita. Le sue giornate scorrono tra la ricerca di una casa, le passeggiate lungo l’Avenue, gli autobus, i bar, i computer della biblioteca. Intorno a lei si muove un microcosmo di esistenze: una famiglia francese in scambio casa, una grafica licenziata, un programmatore in crisi sentimentale. Storie che si sfiorano, si sovrappongono, a volte si incontrano, creando un tessuto urbano e umano densissimo, come in un film corale o in un racconto di Alice Munro trapiantato nella California delle università e dei senzatetto.

Lingue che si intrecciano, corpi che migrano
Le narrazioni di Milkova si muovono con naturalezza tra idiomi e accenti, rendendo il multilinguismo non solo un tratto stilistico ma un’esperienza incarnata. I protagonisti vivono in uno scarto continuo tra lingue, spesso parlano, pensano, sognano in idiomi diversi – e ognuna di queste lingue diventa una parte del loro corpo, una postura, una maschera, una forma di resistenza. La traduzione, in questo senso, non è solo un mestiere, ma un modo di abitare il mondo. L’identità, mai fissa, si modella attraverso il lessico che ciascuno sceglie (o subisce), tra idiomi materni e acquisiti, tra silenzi e traduzioni interiori. La lingua, da strumento, diventa spazio di riflessione, casa provvisoria, e talvolta campo di battaglia.

L’emozione del disorientamento
In Storia delle prime volte non c’è mai un punto d’arrivo, ma solo tappe provvisorie. Tutto è in divenire: i luoghi, le relazioni, le appartenenze. I racconti esplorano il senso di estraneità che accompagna il vivere altrove, il desiderio di radici, la nostalgia come condizione esistenziale e creativa. I protagonisti sono spesso sospesi tra passato e futuro, tra un “prima” che li ha formati e un “dopo” ancora da inventare. Ma non c’è mai retorica né sentimentalismo: Milkova osserva con precisione le piccole epifanie quotidiane, i gesti di cura, la tenerezza che si nasconde nella sopravvivenza. In questo sguardo acuto, spesso commosso, ma mai indulgente, si coglie la grande forza di questo libro: raccontare la complessità del vivere contemporaneo con onestà, grazia e profondità.

Federica Chimenti

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