2016, l’anno per ripartire.

Che sia andata bene, o male, Expo è finita. Ora non ci restano brand da giocare sul tavolo del mondo, l’unica etichetta è la nostra anima, quella che si chiama Italia, con relativi difetti, e per fortuna, le enormi virtù.

Già, finita Expo, da sbattere in faccia al mondo, e magari anche all’Europa, ora ci rimane il nostro nome, Italia. E il suo concetto, che non è quello di essere solo un’espressione geografica, come qualcuno un secolo fa riteneva fosse e qualcuno, oggi, continua stoltamente a sostenere.

Il secolo scorso ci ha dato il patrimonio della memoria comune che, lo si voglia o no, è identità.

Sì, ora rimaniamo con in mano il nome dell’Italia da giocare all’estero. E partiamo da una nuova umiltà, quella di un paese liofilizzato, più povero, rispetto agli agi del pre-crisi.Ma proprio questo essere semplicemente essenza, senza barocchismi, può essere la nostra vera risorsa.

Perché adesso, dell’Italia, rimane solo il vero, la sostanza, a partire dalla cultura e dal patrimonio.

C’è tanto da trarre da esso. Una miniera inesauribile, una materia prima che nessuno ha.

Il nostro è un bene che può e deve rigenerarsi, rivalutarsi ma finalmente dovrà riuscire a farlo in maniera sana, senza scorciatoie, senza falsi investimenti, senza secondi fini.

Sarà dura ricostruire l’Italia. E sarà dura ricostruire gli italiani. Ma se ci crederemo, se saremo tutti assieme, come nel 1945, scommettiamo che ci divertiremo?
Esposizioni a confronto
Uno dei quadri della personale di Carla Bruschi
"Un'inquieta sernità del visibile", la mostra curata dal Critico d'Arte Lorenzo Bonini alla Umanitaria di Milano