Due giovani missionarie mormone si imbattono in un uomo apparentemente cortese che farà di tutto per convincerle a riconsiderare la loro fede

Recensione del film Heretic a cura di Jonathan Salea

Heretic - La recensione

I temi della fede, del divino e della vita ultraterrena sono relativamente comuni nel genere horror. Martyrs, film francese del 2008, esplora questi concetti in modo brutale ma efficace; L’Esorcista, uno dei capisaldi del genere, ne mostrava sapientemente le molte sfaccettature già nel 1973. Tante pellicole hanno parlato dell’argomento sin dalle origini della cinematografia. 

Nel 2025, Heretic, diretto da Scott Beck e Bryan Woods, ripropone nuovamente le questioni fondamentali di tutte le religioni, vive o abbandonate, cercando di trovare un filo conduttore con cui criticarle più o meno in egual misura.
Il film di A24, uscito in Italia nel 2025, narra la sfortunata vicenda di due giovani missionarie mormone, Sorella Barnes (Sophie Thatcher) e Sorella Paxton (Chloe East) che, su richiesta, bussano alla porta dell’apparentemente amichevole Signor Reed (Hugh Grant) per parlargli della loro fede al fine di convertirlo. 

Dopo i normali convenevoli in cui il Signor Reed spiega il suo interesse per la religione mormone, la conversazione assume un tono sempre più ambiguo, l’uomo dimostra una certa conoscenza teologica al fine di sovvertire le norme e convenzioni del mondo religioso e, soprattutto, le convinzioni dottrinali delle giovani donne. Le sue ipotesi sembrano inizialmente molto logiche e obiettive ma il suo comportamento, sebbene cordiale, si dimostra sempre più sinistro ma mai deliberatamente ostile verso le missionarie che, insospettite da vari indizi sparsi per la casa e dal tono dell’uomo, cominciano a provare un crescente disagio. 

Come nel film del 2022 Speak No Evil, Heretic pone le protagoniste in una situazione in cui la loro esasperata educazione le rende inizialmente incapaci di liberarsi dalle ovvie grinfie dell’uomo per timore di apparire scortesi, dimostrando come, talvolta, sarebbe molto meglio fidarsi del proprio istinto di fronte alla legittima sensazione di un pericolo imminente.
Nel corso del film, il Signor Reed approfondisce con crescente ostilità il tema della religione e la sua casa, apparentemente normale e ben illuminata, diventa un tetro labirinto dalle mille stanze. Essendo un film horror, è ovvio aspettarsi che la storia prenda, infine, una piega più grottesca e macabra. 

Non c’è dubbio che il film sia girato diligentemente e che le tre performance principali siano molto convincenti, soprattutto quella dell’ormai molto esperto Hugh Grant il quale, dopo una carriera di commedie romantiche, si è reinventato recentemente in ruoli moralmente discutibili o malvagi.

Tuttavia, il film presenta due gravissimi problemi: il primo riguarda la sua struttura. La prima metà del film è inquietante quanto basta senza banali, ovvie esagerazioni. La seconda metà, invece, perplime per la fondamentale mancanza di un verosimile, coerente percorso narrativo e la sceneggiatura diventa confusa, inconcludente, rendendo difficile sospendere la propria credulità.

L’altro problema, persino più grave ed evidente, è la supponenza con cui il film propone il tema della religione che, come già citato, è già stato sapientemente trattato da moltissime altre opere. Nel suo voler apparire molto più intelligente e colto di quanto in effetti sia, Heretic crolla drammaticamente sotto il peso dei suoi dialoghi oltremodo verbosi e di una premessa che, posta sotto il minimo scrutinio di veri esperti religiosi, precipita velocemente nel banale e nel superficiale, pur apparendo ricercata e colta. 

Non ci si può aspettare che un film horror mantenga consistentemente una linea logica o realistica, non sono caratteristiche tipiche del genere. Tuttavia, per quanto la sceneggiatura tenti di mostrare in modo falsamente obiettivo due visioni antitetiche della religione, è impossibile non notare la grave mancanza di conoscenze teologiche degli autori, cosa che non sarebbe necessariamente un problema se la religione non fosse il tema principale del film e se non si prendesse tanto sul serio da apparire accondiscendente. 

Trattare gli spettatori in modo adulto, usando un linguaggio dotto e istruito, è pratica giusta e lodevole; molto meno apprezzabile, in qualunque ambito, è l’uso della prolissità per convincere il pubblico delle proprie opinioni, proponendosi così in modo superbo nonostante una evidente ignoranza e fondamentale incomprensione del tema sulla base di banali generalizzazioni. Il peccato peggiore del film, dunque, non è la deriva grottesca che prende dopo la prima ora, non è la scelta dell’argomento e non è di certo la parte tecnica, bensì il suo senso di superiorità intellettuale che può fare superficialmente riflettere tanti ma, alla fine, non è né moralmente, né culturalmente migliore dei sermoni religiosi che critica tanto frivolamente.

Jonathan Salea
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