Satoro Iwata, Nintendo, il gioco e l’esistenza
Si è spento a soli 55 anni Satoro Iwata, l’uomo che ha descritto alla presidenza della Nintendo la parabola dell’ultimo decennio della casa giapponese. Dal successo del marchio Wii, alla sua messa in discussione in un mercato troppo veloce per qualsiasi preanalisi. Un manager del virtuale sempre alla ricerca del suo verso umano, al di là dei numeri, del marketing e del fatturato
“Desidero che i ragazzini si divertano con i videogiochi,
ma devono anche avere altri passatempi . Quand'ero
bambino mi piaceva qualsiasi tipo di gioco e penso che sia stata un'esperienza
molto costruttiva.”.
Ecco, forse questa è la domanda che si è posta Iwata
nell’ultimo decennio. Come far immergere le persone nei videogiochi lasciandole
però connesse al mondo reale. Una risposta fu la Wii, che scelse il movimento
come atto umano all’interno del videogioco.
“In ogni caso, non intendo
trascurare le preoccupazioni sul rischio di essere assorbiti totalmente dai
videogiochi. Ecco perché Nintendo ha incoraggiato con forza la comunicazione
interpersonale tramite i giochi.”
Un mondo virtuale che aggiunga all’umano, e non
semplicemente sottragga. Questo era il sogno di Iwata. Un mondo che ancora
poteva essere parte di un bambino e della sua vita, non riempirla. Un mondo in
cui il videogioco era qualcosa adatto ad essere trasportato sul cestino di una
bicicletta. Non un oggetto cult, come il mondo I-apple
“Apple è chiaramente una
società high-tech, mentre Nintendo si occupa di intrattenimento, pertanto il
nostro elenco di priorità è piuttosto diverso. Per esempio, se un nostro
prodotto deve essere più resistente, lo facciamo mezzo millimetro più spesso
senza esitazioni. Invece, penso proprio che Apple non abbia bisogno di svolgere
ripetutamente test di resistenza, facendo cadere l'iPod da un'altezza pari a
quella del cestino della bicicletta.”
Ecco, Iwata, così prematuramente scomparso, non è riuscito a dare risposte manageriali a tutto ciò. Lui, che proiettato da semplice sviluppatore aveva immaginato un mondo nuovo risollevando le sorti di una azienda in fallimento, ha lasciato prematuramente un mondo di videogiochi che lentamente sta diventando troppo arrogante per quello che lui era. Così la battaglia non è stata combattuta fino alla fine, un po’ perché non ha fatto in tempo, un po’ perché per la malattia fulminea e devastante che l’ha colpito,, è stato impegnato in un'altra corsa, persa purtroppo.
A ricordarlo nelle sue tappe di progresso, ci penserà il mondo della tecnologia, per quel che riguarda la cultura, rimane quel suo saper continuare a concepire un umano, in un mondo virtuale, prima dei conti del manager. La sua vita è stata sempre impregnata di tutte le sue esperienze. Così come ricorda la sua frase più celebre… “Sul mio biglietto da visita, sono il presidente di una società. Nella mia mente, sono un programmatore. Ma nel mio cuore, sarò sempre un videogiocatore.” Troppo, forse…