Un uomo, un partigiano

L’8 settembre 1943 ero un tranquillo studioso di storia dell’arte, chiuso in un cerchio limitato di interessi e di amicizie; l’anno dopo, l’8 agosto, ebbi il comando d’una divisione partigiana che ha dato più di un fastidio al tedesco.

Così scrive Roberto Battaglia nella Prefazione al suo memoriale intitolato Un uomo, un partigiano, edito da Einaudi. Nei nove capitoli che costituiscono l’opera, l’autore narra il percorso che intraprese alla caduta del fascismo, avvenuta il 25 luglio 1943: da placido studioso del Bernini egli divenne un combattente nella Resistenza. Come molti altri intellettuali dell’epoca, Battaglia era stato un antifascista passivo, che si era volontariamente disinteressato alle vicende politiche italiane.


Tuttavia, la morte in guerra di un amico e l’arresto di Mussolini lo spinsero a riflettere sulla vita condotta fino a quel momento: non è più possibile restare indifferenti alla sofferenza di una popolazione. Diventa, perciò, necessario intervenire in prima persona per combattere l’origine di quel male.


Con una lucida e sincera analisi e con uno stile elegante e mai piatto, l’autore ci rivela la profonda crisi personale che lo colpì e che lo rese un uomo diverso. Il senso di colpa per non essere intervenuto prima si tramuta in fredda determinazione, quando Battaglia deve decidere velocemente le azioni offensive contro i nazi-fascisti. Inoltre, dalle memorie dell’autore emerge un altro elemento, ossia quello più cupo della guerra civile. Se uccidere un tedesco era considerato più facile, perché visto come il nemico per eccellenza, uccidere un italiano comportava molta difficoltà.


Presso gli arbitrari tribunali partigiani si decideva della vita o della morte di un connazionale, magari di un vicino di casa, che aveva la colpa di aver scelto la fazione sbagliata. Da simili episodi, l’autore enuclea una serie di intense riflessioni che si trovano nell’ultimo capitolo, intitolato “Giustizia partigiana”. Quando “un uomo come gli altri” deve giudicarne un altro, senza l’ausilio di un codice penale, non può e non deve essere guidato esclusivamente dalla propria coscienza, perché essa “non esiste per nessuno in astratto”. Il rischio di vendette personali era sempre presente. Da qui la necessità di dotarsi di un proprio codice, che servisse a trasferire “i problemi della propria coscienza in una coscienza più vasta e collettiva”. Con questa e altre considerazioni si nota come Battaglia non solo abbia narrato le proprie memorie e il proprio conflitto interiore, ma sia diventato, suo malgrado, il portavoce di un dissidio che apparteneva a un intero gruppo di uomini.


Sebbene siano passati settant’anni dalla guerra civile, Un uomo, un partigiano costituisce ancora oggi una delle testimonianze più vivide della storia della Resistenza italiana.


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