Il fiume e la canzone d'autore italiana
Come la musica leggera italiana si è misurata con il concetto di fiume, fra guerre, poesie e paesaggi fiabeschi.
E' difficile parlando di fiumi e Italia, anche se intesa come mondo musicale, non iniziare con un inno dedicato allo storico corso d’acqua che si oppose con la sua piena e le onde travolgenti all’avanzata del nemico sul nostro patrio suolo nella guerra ”15/18.
Si tratta ovviamente della “Canzone del Piave” (Il Piave mormorò: “non passa lo straniero”), scritta da Ermete Giovanni Gaeta -meglio conosciuto come E. A. Mario- autore di strepitosi successi tipo “Vipera”, “Santa Lucia lontana”, “Le rose rosse” e “Profumi e balocchi” che rimane la più crudele e straziante canzone di tutti i tempi.
Un altro fiume di guerra si trova in “Come un fiume” dei pacifisti Nomadi “Ai Signori della guerra diamo il sangue perché è un sangue che sa scorrere lontano / come un fiume che attraversa un continente e invade tutti gli altri piano piano”.
E il Maestro De André -con l’ausilio di Massimo Bubola- ha creato un capolavoro narrandoci (Fiume Sand Creek) la storia del massacro di donne e bambini pellerossa “Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte / c’erano solo cani e fumo e tende capovolte / e ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek”
La Zanicchi dalla bella voce ha colto due dei suoi maggiori successi cantando canzoni con tema fluviale. Nel 1970 fu la volta di “Un fiume amaro” su musica del celebre compositore ellenico Mikis Theodorakis col quale ha collaborato proficuamente. La canzone si dispiega con le cadenze suadenti del Sirtaki, una melodia mitizzata dal film “Zorba il greco” (Il pianto cade sul mio peccato, sul mio dolore che tu non sai. / E’ un fiume amaro dentro me il sangue della mia ferita, / ma ancor di più è amaro il bacio che sulla bocca tua mi ferisce ancor)
L’anno successivo la già famosa ‘Aquila di Ligonchio’ (figurare nello zoo delle cantanti è sinonimo di notorietà e vi si trovano anche: Mina, Tigre di Cremona - Milva, Pantera di Goro - Orietta Berti, Usignolo di Cavriago - Nada, Pulcino di Gabbro - Patty Pravo, Civetta di Venezia - Alice, Cerbiatta di Forlì - Marisa Sannia, Gazzella di Cagliari) esce con il brano di Testa/Sciorilli: “La riva bianca, la riva nera” ottenendo un consenso ancor più strepitoso. Il testo affronta la drammaticità della guerra immaginando un colloquio tra un soldato e un capitano, tra loro nemici solamente perché divisi dalla frontiera del fiume “Dimmi un po’ soldato di dove sei / Sono di un paese vicino a lei / però sul fiume passa la frontiera, la riva bianca, la riva nera / e sopra il ponte vedo una bandiera ma non è quella che è dentro il mio cuor”
Ben due cantautori Doc hanno dedicato loro brani alla fragile fanciulla che, bistrattata da Amleto, Principe del dubbio, si suicida gettandosi nel fiume:
- Guccini (Ophelia): “La piccola Ophelia vestita di bianco va incontro alla notte, dolcissima e scalza, / nelle sue mani ghirlande di fiori e nei capelli riflessi di sogni: / nei suoi pensieri mille colori di vita e di morte, di veglia e di sonno”
- Endrigo (Ofelia): “Come un fiore sei caduta, senza luce i tuoi vent’anni: / ora un fiore ti accompagna lungo il fiume senza fine. / il tuo viso sta sognando, il tuo corpo così bello l’acqua scura porta via”
Senza assurgere a protagonista di tragedie scespiriane, anche la “Marinella” di Fabrizio De André finisce annegata “Questa di Marinella è la storia vera che scivolò nel fiume a primavera / ma il vento che la vide così bella dal fiume la portò sopra una stella. /…E lui che non la volle creder morta / bussò cent’anni ancora alla sua porta”
Spesso si parla di fiumi in canzoni connotate da nostalgia per città amate o luoghi vissuti.
Per il Tevere basta rammentare “Quanto sei bella Roma”, un classico degli anni trenta eseguito da tantissimi artisti romani e reso memorabile da Anna Magnani (nel film “Abbasso la ricchezza”) “Quanto sei bella Roma a primavera / er Tevere te serve, er Tevere te serve da cintura”
E l’Arno, oggi ridotto a rigagnolo limaccioso e pattumiera per la raccolta indifferenziata di ogni rifiuto, ha ispirato “Firenze sogna”: un nostalgico valzer lento composto da Cesare Cesarini nel 1939. Cimento per ogni cantante che si rispetti, è regolarmente propinato a ogni turista che capita nella città toscana “Sull’Arno d’argento si specchia il firmamento / mentre un sospiro e un canto si perde lontan, / dorme Firenze sotto il raggio della luna ma dietro ad un balcone veglia una madonna bruna”
Più di recente Ivan Graziani -cantautore valentissimo e a torto troppo poco valorizzato- in “Firenze, canzone triste” ha fotografato la città e l’Arno come un palcoscenico ove si dipana un amore a tre che termina con i due studenti maschietti abbandonati da una ragazza che preferisce il mare “Ricordo i suoi occhi, strano tipo di donna che era, / quando gettò i suoi disegni con rabbia giù da Ponte Vecchio / “Io sono nata da una conchiglia”, diceva “La mia casa è il mare e con un fiume no, non la posso cambiare”
Dove invece si considerano in negativo tutte le acque -siano esse di fiume, di lago o di mare- è nella canzone di Nisa e C. A. Rossi “Acque amare” che Carla Boni, Flo Sandons e Katina Ranieri eseguirono in una gara di bravura (tra bizze e dispetti vari!) dal 1953 in poi “Credere all’amore è come scrivere sull’acqua… / Acqua di fonte, tu discendi a valle prepotente, / somigli all’amor mio che se n’è andato e tanto freddo in cuore m’ha lasciato”
Il fiume delle canzoni è anche visto simbolicamente come evoluzione della vita e dell’amore che nasce fresco e zampillante alla sorgente, scende a valle con momenti di quiete alternati a vorticose rapide, raggiunge la foce e si spegne infine nel mare grande dei sentimenti.
Riccardo Cocciante ce lo spiega in “Due” (Due, come i fiumi che si incontrano per poi mescolarsi ribollendo fino al mare / dove l’acqua dolce giunge fino al sale)
Angelo Branduardi ne segue il concetto (Noi come fiumi) “Noi, come fiumi che vanno al mare, / noi, come fiumi divisi ci manchiamo”
Franco Migliacci, un’eccellenza tra i parolieri italiani, in “Il grande fiume” cantata da Scialpi, afferma che “La vita è un fiume che va e scorre dentro di me: non torna indietro e fermarsi non può. / Quanti ricordi laggiù che un giorno ripescherò prima che il fiume raggiunga l’immenso oceano”
Daniele Silvestri in “Il fiume e la nebbia” vorrebbe attraversare il corso d’acqua che lo separa da una qualità di vita probabilmente migliore; ma non trova il coraggio di abbandonare la riva che ha cullato e nutrito i suoi sentimenti e ne ha plasmato i ricordi “E’ per colpa di quel fiume se io sono ancora qua / perché un giorno sopra il ponte mi fermai a metà / e quest’aria che mi opprime in fondo è tutto ciò che ho, / fino a quando l’altro lato dei miei sogni perderò”
Baglioni in “Cuore di aliante” canta accoratamente “Sono acqua di fonte che al suo monte non può ritornare / e il mio orizzonte è solo vivere e vivere da solo / come un sasso di un torrente che non ferma la corrente…”
Dopo aver dato spazio a Roberto Vecchioni il quale sostiene che “Il salice ha bisogno del fiume che lo bagna / e il fiume nasce al sole che scioglie la montagna” (Il fiume e il salice) e che “Non è vero ragazzo che la ragione sta sempre col più forte: / io conosco Poeti che spostano i fiumi col pensiero” (Sogna ragazzo sogna), lascio la chiusura di questo viaggio fluviale ad Amedeo Minghi che con “Alla fine” conclude lapidariamente: “Alla fine del fiume il mare incontrerai, alla fine del libro la storia tu saprai”.
Fabiano Braccini