Le politiche culturali nel Sud Mediterraneo
La rivista Giornale di Storia Contemporanea colma uno spazio vacante nella ricerca e studi sulle culture delle società a prevalenza islamica nella riva sud del Mediterraneo.
Le Politiche Culturali nel Sud Mediterraneo
La biblioteca italiana soffre della
scarsezza di saggi originali sule realtà culturali del Medioreinte.
La maggior parte delle ricerche rimangono connesse agli specialisti e
universitari. Ne è dimostrazione la limitata pubblicazione di
traduzioni di saggi e romanzi di autori arabi direttamente dalla
lingua originale. Malgrado la turbulenza della regione, dopo le
cosiddette Primavere arabe, le analisi e gli studi sulla nuova realtà
mediterranea comparse nelle librerie sono prevalentemente delle
traduzioni.
Ad avviare un'operazione per colmare questo gap, arriva un numero monografico della rivista periodica: “Giornale di Storia Contemporanea”, dedicato interamente alle Politiche culturali nella sponda sud del Mediterraneo. Un lavoro a più mani di ricercatori universatori, che presentandosi nella forma di una rivista, pur specialistica, lo porta all'attenzione di un vasto pubblico.
Già nell'introduzione, Leila El Hossi mette le mani avanti sottolineando le difficoltà che in occidente hanno ottenuto gli studi sulla relatà orientale. Citando Georges Corm, l'economista e storico libanese, ricorda che il Medio Oriente è “un'entità geopolitica che agli occhi del grande pubblico occidentale che resta una nebulosa difficilmente decifrabile” e richiamando l'analisi del filosofo palestinese, Edward Said, nel suo libro fondamentale, Orientalismo, sostiene che quella visione annebbiata è il prodotto di quel trend culturale che ha accostato gli arabi e il Medio Oriente a un immaginario collettivo fondato su stereotipi affermati nel periodo coloniale e non sono mai cessati ad imprimere la loro impronta anche nelle fasi successive.
I
paesi studiati dagli autori sono Tunisia, Egitto, Turchia e Marocco.
Sono analizzati storicamente i rapporti tra potere politico e
intellettuali, confutata la teoria del deficit democratico arabo,
sottolineate le motivazioni funzionali e strumentali delle poltiche
culturli dei regimi dittatoriali e definiti i limiti di quelle delle
relatà politiche nate dalle rivolte del 2011. Una particolare
attenzione è stata data alla relazione tra visioni della forma dello
Stato, laicisimo e le diverse influenze della fede religiosa e il
riflesso di queste forme statuali e le politiche culturali nazionali.
Possiamo dire – in sintonia con la conclusione dell'Introduzione - “Dall’analisi di questi saggi si evince quanto la pluralità di questi mondi, rigorosamente declinati al plurale sia profondamente complessa. Una complessità che si rivela nelle ricostruzioni storiche dei paesi di questa regione da cui si desume la presenza di una profonda crisi delle società. Un malessere che non nasce dal cambiamento apportato dalle Primavere arabema da radici ben più profonde che affondano nelle politiche liberticide dei dittatori”.
Farid Adly