La rete del Diavolo: Hollywood atterra in brianza, a Varedo.
Una grande città, Hollywood, capitale mondiale del cinema. Un piccolo paese della provincia monzese. Varedo. Una villa dal fascino ottocentesco: Villa Bagatti-Valsecchi e un set cinematografico.
Sembra l’inizio di un racconto fantastico e invece… Ciak, si gira; il grande cinema non ha confini!
L’uscita del film, La rete del diavolo, previsto nel corso del 2017, vede sulla scena tre grandi nomi: quelli di Randall Paul, che con passione ha scelto di prendere parte alla pellicola, quello di Angelo Grandi e, per finire, quello di Rossella Parco.
L’ambizioso progetto artistico della Grassi, palesa gli effetti di una drammatica malattia degenerativa, come la Sla.
Non lo fa in modo convenzionale, non in un modo meramente commerciale e strappa lacrime. Lo fa a sua maniera, in modo inclito e delicato, proprio con la sensibilità che la caratterizza.
L’INTERVISTA:
Come e quando nasce la tua passione per il cinema?
“La passione per il cinema nasce dai racconti di mamma, che assieme a papà, lavorò con il grande Pietro Germi in “Divorzio all’italiana”, grazie alla cui pellicola divenne la controfigura di Mastroianni.
Da lì iniziò il tutto: sentivo sempre il profumo del cinema in casa e non potei che appassionarmi.
Poi, ad approfondire questa mia passione, intervenne un incontro molto importante nella mia vita: quello con Roberto De Laurentis, che mi indirizzò verso la strada di scrivere sceneggiature. Pubblicai dunque il primo romanzo e da lì cominciai a lavorare sulla scrittura, partecipando a parecchi festival, tra cui Venezia e Cannes.
Il progetto che più ho a cuore è “l’uomo in frac”, che ha vinto nel 2014 il premio Anna Magnani al Festival di Venezia come miglior sceneggiatura originale.”
Cosa è per te il cinema?
“Il cinema è un amante che ti accarezza, che può essere bugiardo e perfido, che ti può portare alle stelle e, allo stesso tempo, farti precipitare in un attimo. Però non si può fare a meno di amarlo.”
A proposito della tua sceneggiatura “L’uomo in frac”, quello che è successo con De Niro, la diatriba legale in merito al furto della tua sceneggiatura, ritieni, che in qualche modo, la tua passione e il tuo amore per il cinema e il suo mondo siano stati influenzati?
“L’amore che ho per il cinema non potrà mai morire. Come ho comunicato personalmente a De Niro e alla “Voce di New York”, l'ho sempre reputato, e ancora lo reputo, il re di tutti gli attori, il padre putativo di noi giovani artisti emergenti. Ho tanta amarezza per quello che è accaduto. Tant’è, che per più di un anno, non sono riuscita a scrivere. Sono stata davvero male, potrei dire come una delusione di amore, in seguito alla quale non riuscivo più a darmi alla scrittura. Mi sono sentita “scippata” la speranza, perché c’è tanto di me in quella sceneggiatura. Oltre i racconti di mia madre, legati alla famiglia, c’è il mio sogno, quello di entrare in America attraverso il mio lavoro.
Mi rivedo molto nella figura di questo Giosue Cagliardo che in realtà racconta mio nonno che non è riuscito a entrare in America ed è stato, per lungo tempo, imprigionato. De Niro, insomma, interpreta la mia famiglia.
Non cerco riscatto; vorrei solo svolgere il mio lavoro. Non ho pretese di gloria, di fama né di ricchezza. Mi reputo, semplicemente, un’operatrice dello spettacolo, almeno ci sto provando con tutte le mie forze e questo gesto, l’aver calpestato un sogno, il mio sogno e l’avermi strappato la speranza, è stata una cosa molto dolorosa. Del resto, ci ho messo cinque anni a scrivere la sceneggiatura. Una gran parte della mia vita.
Se fosse successo con un percorso lecito, attraverso il riconoscimento dei miei crediti, le cose sarebbero andate diversamente: ne sarei stata fiera, poiché avrebbe riconosciuto a un’emergente il diritto di accedere a quel sogno, a quella statua chiamata Libertà”.
Arrivando al lavoro svolto oggi: due grandi firme, la tua e quella di John J Greenflowers. Una cittadina di provincia, Varedo. Una villa suggestiva, la Villa Bagatti-Valsecchi. Perché Varedo? La scelta è stata casuale o c’è stato dietro un lavoro di ricerca?
“Dunque, io stavo cercando una struttura del 1800. E proprio mentre stavo facendo questa ricerca siamo stati chiamati da questo luogo. Angelo Grandi, nell’aiutarmi, ha trovato sulla sua pagina facebook delle immagini della Villa. Io, successivamente, ho contattato una mia carissima amica, la direttrice di villa San Carlo Borromeo, in questo momento in fase di ristrutturazione, che mi ha dato il suggerimento di venire qui. Si, ritengo che siamo sati richiamati da questo posto, che è un posto poetico e magico allo stesso tempo”.
L’obiettivo del progetto ha uno scopo benefico; quello di destinare parte dei ricavi alle associazioni che garantiscono aiuti domiciliari continui, alle famiglie con malati di Sla. Come e dove nasce l’idea?
“Ho iniziato a scrivere questo progetto in una direzione e poi, non so
il perché, ne ho preso un’altra, quella di voler raccontare la Sla dagli
occhi di un personaggio al di fuori del corpo malato.
Penso che la ricerca, ovviamente, sia un qualcosa di molto importante in ogni
malattia ma, cosa ancora più fondamentale, credo sia quella di fornire la
giusta assistenza al malato. Molto spesso, effettivamente, le famiglie vengono abbandonate a se stesse, senza assistenza da parte del servizio
sanitario. Il vivere in queste condizioni per chi assiste il
malato in certi momenti diventa una vera disperazione.
Sulla base di questo, ho cercato di creare un progetto, che vada a dare un aiuto alle famiglie toccate dalla Sla e, nel nostro piccolo, cercare di fornire un’assistenza concreta. Ossia, di garantire la dignità al malato.”
La scelta attoriale porta due
grandi nomi, quelli di Angelo Grandi e di Rossella Parco. La ricerca è stata
mirata?
“Io e Angelo andiamo al di là del rapporto meramente professionale. Angelo, prima di tutto, è un amico oltre che essere un grandissimo talento, che in questo progetto ha davvero superato se stesso.
Nella scelta attoriale, quello che ho cercato di fare, è stato un lavoro di cucitura. Noi sceneggiatori siamo anche dei sarti. E’ importante andare a cogliere, carpire, “rubare”, quella che è l’essenza del personaggio e poi, andare a collocarla nell’attore. In questo modo, ecco che diventa possibile disegnare il profilo di quello che vuoi creare. Cucire il personaggio nell’attore e non l’attore nel personaggio.”
Un nome internazionale come quello di Randall Paul. La sua passione per l’Italia. Il suo ambizioso progetto di rendere l’Abruzzo un set cinematografico. Come è entrato a far parte del progetto?
“Ho contattato Randall dai social e, da lì, ho iniziato a raccontargli la mia idea. Quando lesse il progetto – a detta sua – si commosse a tal punto, che mi garantì la sua più viva partecipazione. Nasce così la nostra collaborazione. Collaborazione che mi rende davvero fiera e onorata.
E’ possibile avere una piccola sinossi del testo e caratterizzazione dei personaggi?
“Si, certo.. La rete del
diavolo racconta innanzitutto la vita di questo pittore, magistralmente
interpretato da Angelo Grandi, che dipinge nella più totale solitudine, in
questa grande villa. Vive con questa allucinazione, questa donna che lui vede,
che è l’incarnazione del diavolo. Una bellezza eterea, quasi una primavera
del Botticelli.
Queste imagini, che gli arrivano alla mente con forza e violenza, sono le rievocazioni di tutti gli eventi storici che sono accaduti nel mondo dal 1800 a oggi. Fatti che hanno piegato il mondo e che gli arrivano con ampia crudeltà. Sono eventi trasmessi con forza dallo spirito di suo padre, Randall Paul, un genitore molto autoritario e cattivo che ritorna ad aiutare il figlio, come a voler espiare le colpe e le carenze di padre, accompagnandolo nella lotta alla totale solitudine a cui lo sta piegando la malattia.”
(Foto e testo Massimo Chisari)
ombretta :
Perfetto in tutti i sensi. | lunedì 17 ottobre 2016 12:00 Rispondi