Charlie Chaplin: quello del cinema nuovo
Charlie Chaplin, Uno che cambiò l'esistente. Uno che creò ciò che non c'era... La rivoluzione parte spesso da un gesto semplice. Magari indossare un cappello impolverato, un bastone e cominciare a fare cose che agli altri sembrano assurde.
“ Dobbiamo ridere alla
nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire.“
Ridere, come forza di reazione e rivoluzionaria. Chi disse questa frase, arrivò
in una America ben diversa da quella che di solito immaginiamo ma, come lui,
pronta a cominciare qualcosa. Una nazione di posti desolati come doveva essere
il nuovo mondo nel primo novecento. Un centro di poche case, un albergo e uno
sfondo di montagne basse che portavano sulle spalle il deserto reggendosi su
una terra fertile, pronta a dar frutti fino al punto in cui cominciava il mare.
Los Angeles, lì accanto, era una realtà appena accennata che stava crescendo
grazie al petrolio, scoperto da poco. Lui allora era giovane, poco più di
vent’anni. Ma come li si aveva allora, due decenni di vita che volevano dire
aver già fatto molte cose, imparato e sofferto tanto, perché ancora non
esisteva l’alibi chiamato adolescenza. Si nasceva bambini e poi di colpo si
diventava uomini, senza vie di mezzo, essenzialmente
per necessità, e per povertà. Lui giunse lì chiamato da Max Senneck. Un
esploratore, diremmo oggi, anche se non quelli che vanno a cercare nuove tribù
o continenti ma semplicemente un cambiamento radicale di ciò che era stato
finora. Capannoni, pochi, e odore di legno e celluloide, quello era l’angolo di
grande paese che respirò Charles Chaplin, un odore che a Londra non aveva mai
sentito. “Bosco di agrifogli”, si chiamava quel posto. Ma si era in America e
allora bisogna dirlo in inglese: Hollywood. Chaplin era stato ingaggiato perché
facesse il buffone e fu inserito in quel mondo di inseguimenti e comiche
grossolane, ma poi lui cominciò qualcos’altro, l’arte del cinema. Cominciò
qualcosa grazie alla sua complessità. O puoi chiamarla genialità, che è uguale.
Indossò la bombetta, le grandi scarpe, il bastone e i baffetti come un pittore
mette i colori sulla tela. Diede ad uno schermo disegnato dalla lampadina la capacità di essere poesia. Proiettare
sulla tela il vagabondo non fu solo creare un personaggio ma l’espressione di
malinconia del novecento. Bisogno d’amore, rabbia e follia. Settembre 1939, per
stare ancora con settembre. Mentre Hitler dichiarava guerra all’Inghilterra,
Charlie Chaplin fissava il grigio dei primi fotogrammi del suo ennesimo
capolavoro: il grande dittatore che fu anche sostanzialmente il suo addio. Il
vagabondo che prendeva in giro i dittatori fu travolto dal nuovo mondo che
voleva solo parole e colori. Chiedeva solo la confusione delle risposte, non la saggezza delle domande.
Eppure solo se si pensa a quel terreno deserto, a quel tempo sperduto, ai
capannoni, alle cineprese a manovella, ai pazzi che parlavano dentro ai
megafoni, ai costumi improbabili, se ci si immagina tutta quella apparente
follia mettersi lentamente a posto nella testa di un uomo e farsi futuro, si
sente la sostanza fisica del cominciare. Ci hanno guadagnato tutti da
quell’inizio in un posto ai limite del deserto e del mare, la cultura dell’umanità innanzitutto, ma anche
l’economia. Perchè dall'opera del genio, ci guadagnano sempre tutti.