Warhol amava Napoli, almeno così diceva…

“Amo Napoli perché mi ricorda New York” disse Andy un giorno del 1980. Ecco, accostare Napoli a New York, città in realtà opposte, è il segno di Warhol. Furbo, consumista, esagerato, “paraculo” ma soprattutto genio. La ricetta per essere stati Andy Wharhol? Semplice. Mettici….

Mettici una Factory. Officina artistica concepita esageratamente da un artista omosessuale contraddittorio come la sua arte, fra le più geniali ma anche le più mercantilmente utili del ventesimo secolo. “Lavorare è un’arte. Fare denaro è un’arte. Un buon affare è il massimo di tutte le arti.”.

Mettici la capacità di un segno innovativo, mettici la furbizia di saperlo vendere bene, sposando l’espressione grafica alla società in ebollizione:  “Il modo per essere controcultura e avere successo commerciale è dire cose radicali in forma conservatrice. Come McLuhan che usa un libro per sostenere che i libri sono obsoleti.”

Mettici un pizzico di public relation e un sacco di immagine. Mettici la capacità di un artista di assimilarsi alle pop stars, avrai Andy Warhol.

“Puoi  bere Coca Cola e pensare che anche il Presidente sta facendo la stessa cosa, come Liz Taylor. Una Coca è una Coca e nessuna somma di denaro può darti una Coca migliore di quella che il barbone sta bevendo all’angolo della strada”.

Probabilmente le sue frasi sul gusto massificato, sull’uguaglianza nel prodotto, sono già superate. Ma le icone, le Marylin, le Coke in the Bottles chissà quante generazioni attraverseranno ancora. 

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