In mostra da oggi Joan Miró. La Forza della Materia al MUDEC di Milano
Il grande artista catalano in mostra al Museo delle Culture a Milano da oggi, con già cinquantamila prenotazioni all'attivo.
«Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni» , così si potrebbe definire Mirò, come fa Jacques Prévert: nato a Barcellona, figlio di un orologiaio, Mirò frequenta lezioni private di disegno e pittura, pur dedicandosi a studi commerciali per volontà paterna.
Dopo un esaurimento nervoso che lo costringe ad allontanarsi da Barcellona per qualche tempo, vi rientra, porta a termine gli studi artistici, ai quali si convertì completamente, e si spinge fino a Parigi, dove incontra Picasso e i dadaisti di Tzara, dai quali fu inizialmente influenzato nella sua opera.
Successivamente si sposterà verso l’astrazione completa, sotto l’influsso dei poeti e scrittori surrealisti. Negli anni parigini, anni del suo matrimonio e della sua paternità, Mirò sperimenta tantissimo con la materia e i supporti: nella pittura e nella ceramica, nella litografia, nelle acqueforti, nelle raffigurazioni su carta catramata e su vetro, fino a divenire uno dei più radicali teorici del surrealismo. In numerosi scritti e interviste esprime in quegli anni il suo disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “assassinarla” per arrivare a nuovi mezzi di espressione.
Mirò sviluppa un nuovo linguaggio fatto di simboli, di sigle, di germinazioni allusive, frutto di una colta fantasia.
Man mano che la situazione storica generale si deteriora, negli anni verso lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Mirò si allontana sempre più dalla realtà circostante, per creare una pittura sempre più astratta e serena, diversamente da altri pittori che invece rendono rappresentazioni dolorose di quanto sta avvenendo. Ciò risulta evidente nella serie delle ventitré Costellazioni, eseguite fra il 1940 e il 1941. Finita la guerra, l’artista si concentra su forme che suggeriscono visioni ipnotiche, dotate di palpiti preistorici.
Nel 1949, Raymond Queneau pubblica lo straordinario volume Joan Miró ou le poète préhistorique, che tratta dell’ermetismo delle opere di Miró.
Nelle sue forme, solo apparentemente casuali, il pittore recupera i sogni, l’innocenza incontaminata dei fanciulli, la giocosa festività di un’infanzia felice, creando un mondo magico, impostato su un equilibrio dinamico.
Un’influenza determinante nella produzione artistica di Miró è l’assimilazione dell’eredità della tradizione, sia popolare sia culturale. Le esperienze che egli ha vissuto nel contesto rurale che tanto amava danno un senso alle sue sculture, e, analizzando la tradizione in cui è cresciuto, è possibile comprendere il valore universale dei temi che più spesso si ripresentano nella sua opera: la donna, le stelle, gli uccelli. Infatti, tutte le fonti culturali legate alle mitologie mediterranee fanno riferimento alla donna in quanto simbolo di vita e di fertilità; alle stelle, che segnano il trascorrere del tempo e il ciclo della vita; infine agli esseri alati, a metà tra il terreno e il divino.
In quanto continuatore di una tradizione, Miró si inserisce nelle espressioni artistiche di un Paese che conserva molte antiche vestigia: dai resti di dipinti paleolitici agli affreschi romanici medievali delle chiese dei Pirenei, alle architetture di Antoni Gaudì.
Ed è qui che la Mostra Joan Miró. La Forza della Materia, che apre oggi al MUDEC di Milano, prosegue idealmente il filone aperto con Gauguin. Racconti dal Paradiso: due artisti di inestimabile valore che si sono rivolti alle culture primitive come fonte di ispirazione, ma anche come esempio di innocenza in un mondo che, nella realtà, non li soddisfaceva, non li rendeva felici. Dall’esplorazione di terre e Paesi lontani, “primitivi”, e di tecniche disparate da parte di Gauguin, all’astrazione completa, ricca di simboli e immagini legate alla tradizione, con sperimentazione di materiali, tecniche, e capacità nuove da parte di Mirò.
All’inizio degli anni Sessanta, l’artista lavora contemporaneamente con supporti disparati come il cartone, la tela o vecchie stoffe riciclate, sperimentando anche tecniche diverse come la ceramica, la scultura, l’incisione e la litografia. Passa da un supporto all’altro al fine di andare oltre l’ultimo suo lavoro, per reinventare così se stesso ed evitare la ripetizione.
Gli ultimi trent’anni della sua vita, Miró li trascorse a Palma di Maiorca, dove realizzò il sogno di avere un grande studio, isolato, in cui poter lavorare indisturbato e libero e sperimentare nuove tecniche espressive: eccolo, dunque, mentre cammina sulla tela, la buca, vi spruzza del colore, lo sgocciola o lo stende con le mani.
Dal 1968 fino alla morte, l’artista riversa sulle tele la propria energia ed una evidente volontà di rottura contro tutte le forme d’ordine che appiattiscono e impediscono di vedere. Vitale e mai ripetitivo, è stato sempre dentro ogni opera che ha dipinto, personaggio urlante per la guerra civile, stella nel cielo delle sue costellazioni, ribelle e dissacratore quando nelle ultime opere dà alla sua pittura un ultimo imprevisto strattone. Davvero il cartello ferroviario appeso davanti al suo studio diceva la verità e riassumeva la poetica dell’eterno fanciullo: «Questo treno non fa fermate».
La mostra propone agli spettatori 100 opere provenienti dalla Fundaçao Joan Mirò di Barcellona, dalla collezione di famiglia e da collezioni private: opere prodotte fra il 1931 e il 1981, accomunate dalla ricerca continua sulla materia, intesa non solo come strumento utile ad apprendere nuove tecniche, ma anche come entità fine a se stessa. Mirò sperimenta i materiali più disparati e procedure innovative, cercando di infrangere tutte le regole per spingersi alle fonti più pure dell’arte.
Non solo pere pittoriche e di scultura, ma anche musica, con l’accoglienza affidata alle note di Blues for Joan Mirò di Duke Ellington, un brano improvvisato dal musicista durante una visita alla fondazione Maeght, ove conobbe il pittore, sette isole multimediali con video che raccontano l’opera e la tecnica del Maestro e postazioni di realtà virtuale. Il percorso si chiude poi con “Inafferrabile Caduta”, una video installazione in cui la materia si muove fluida e ispirata alle tecniche, ai colori e ai materiali che il maestro utilizzava,.
Al MUDEC , Museo delle Culture, via Tortona 56, Milano
Dal 25 marzo all'11 settembre 2016
www.mudec.it
GianB.Giovini :
Ottimo articolo dovrebbe essere letto nelle Scuole. | lunedì 04 aprile 2016 12:00 Rispondi