Mondiale d’Arabia, l’ultima triste frontiera del ciclismo
Partono i mondiali di ciclismo in Qatar. Offriranno ai ciclisti un paesaggio inedito di pianura, sabbia, caldo. L’ennesimo segno di una svolta storica, essenzialmente finanziaria, ma anche quello di un ciclismo sempre più confuso, pronto a tagliare i percorsi all’ultimo momento, se serve...
Goodwood: Saronni che vola via leggero, come quasi corresse un altro ciclismo, quello che punta direttamente al cielo. Sallanches, e la testardaggine di Hinault, che fa dell’inseguimento dell’iride una carneficina, in cui ne rimane uno solo, lui. La Colombia, colorata da case piccole in miniature e militari con il mitra, terra dura di salite che dovevano segnare l’apice di Indurain o l’avvento di Pantani, e invece nel caleidoscopio fra tattica, lealtà e opportunismo premia un altro corridore, che gran segno nella storia non ha lasciato.
Tre Mondiali di ciclismo professionisti a caso, ne avresti potuto prenderne qualsiasi altro e scrivere storie anche più emozionanti.
Si sa, oggi nel ciclismo globalizzato, tutto è cambiato. Si corre un anno, cambiando protagonisti come fogli di un calendario. Facendo quasi tutto uguale, con nazioni dalle culture storiche ormai in difficoltà ed altre che si avventano portando la loro idea di ciclismo, che è altra.
Una delle prime vittime di questo andamento è stato il Mondiale, che ormai da anni è quasi una corsa normale, su percorso normale se non noioso, con partecipanti stagionali, basta che porti il budget si prende tutto…
In questo turbine, siamo arrivati ai mondiali di metà ottobre, spostati ancora in là perché siamo in Medioriente e fa caldo. Il Qatar è quello che ha pagato, cioè che ha comprato i Mondiali. Ha offerto soldi e un clima da deserto. Potrebbero esserci 40 gradi ma niente paura, se fa troppo caldo il percorso si taglia. Così come si cambia l’inizio del circuito dei Pro, previsto con 150 chilometri iniziali nel deserto, ma se il tempo è torrido, o c’è vento e troppa sabbia, si cambia.
Un percorso che comunque, a parte caldo, sabbia e deserto non offrirà emozioni: piatto come una tavola.
Alla fine, chi resterà, porterà la maglia iridata per un anno, maglia che ha incoronato nonostante tutto negli ultimi anni anche campioni (prendi Sagan) ma anche no. D’altra parte, la maglia bianca con i colori dei continenti è ormai pronta a confondersi in gruppo con quella dei campioni continentali, e la bicicletta d’Oro delle Olimpiadi, finchè non la taglieranno, come si fa a volte con quella dei campioni nazionali…
La sensazione, è che la cultura profonda e vera del ciclismo stia ormai morendo senza esser sostituita da niente che non sia il denaro. Intanto il pubblico diminuisce, il fascino delle grandi corse anche. Molte classiche Nazionali spariscono (in Italia ormai si sta fermi mesi interi…).
L’unica cosa che rimane intatta sono i ricordi, sempre più colorati nella passione dei tifosi: quel giorno che a Ostuni…
Riccardo Matassi :
Saronni vinse a Goodwood e non a Praga..... | venerdì 07 ottobre 2016 12:00 Rispondi