Vikings

Il 3 marzo 2013 debutta per la prima volta in televisione la serie Vikings. Questa produzione canadese firmata Michael Hirst tratta la storia (romanzata) del celebre capo vichingo Ragnar Lðbrók, figura storica al limite della leggenda in quanto non precisamente documentata. La rete televisiva History ha reso fiction un pezzo di storia che di solito non è particolarmente dibattuto, trasformandolo in un vero fenomeno mediatico e riaccendendo in molti cuori la passione per la storia e in particolare quella della cultura vichinga.

Il regista Michael Hirst è riuscito in una vera impresa. La sua sceneggiatura sembra adattarsi perfettamente, non solo al cast, ma anche ai desideri sopiti di un pubblico che sicuramente non si aspettava quello che oggi potremmo definire il principio di una vera epopea cinematografica.


Hirst ha saputo coniugare diversi aspetti del mondo cinematografico e di quello storico. Ha certamente giocato a favore del regista la recente “febbre medievale” che serpeggia ormai da qualche anno tra le pellicole del grande e piccolo schermo, rinvigorita a livello televisivo dalla serie Game of Thrones. Inoltre Hirst è riuscito ad adattare i recenti schemi narrativi basati sull’intrigo contorto e sul colpo di scena a una rievocazione fedele, anti-romantica, anche cruenta a volte, ma autentica di uno spaccato storico come quello dell’Europa del nord nel IX secolo d.C.


Con la codificazione, ormai sedimentata, dello strumento narrativo della battaglia, l’opera ha trovato il suo compimento. La consulenza storica entra in campo qui, con una ricerca attenta alla ricostruzione di tutti i particolari di un popolo, come i costumi e le consuetudini. I contributi di nomi autorevoli come Sean Duffy o Elizabeth Ashman Rowe sono alla base di questa ricerca. Forse è questa la parte più complicata di una produzione su pellicola, l’adesione alla verità storica.


I vichinghi erano un popolo spiccatamente guerriero, che traeva le sue ricchezze dai saccheggi costieri, e nell’entroterra. Il fatto di essere riusciti a sconvolgere, dal 793 al 1066, gli scacchieri europei settentrionali, insinuandosi tra i giochi di potere locali, era dovuto in larga misura anche dalla loro capacità di armarsi. L’armamento vichingo era considerato, dai contemporanei che ne avevano sperimentato la forza, estremamente raffinato.


L’arma tendenzialmente più comune era la lancia, in virtù del fatto che non era richiesta una gran quantità di metallo per la fabbricazione della punta. Inoltre il suo utilizzo si adeguava bene a quello dello scudo, specialmente nelle formazioni serrate.


Il loro famoso scudo rotondo e colorato è ben noto non solo per la forma, ma anche per la placca metallica centrale in grado di rinforzare l’intelaiatura di legno e proteggere la mano sul lato interno mentre essa si aggrappa all’impugnatura. I vichinghi avevano sviluppato la tecnica del muro di scudi per difendersi in gruppo, semplicemente sfruttando il grande diametro di questi strumenti difensivi che, se uniti fianco a fianco, erano in grado di creare una solida barriera che ricorda vagamente le testuggini romane.


Anche le asce erano molto comuni, sempre per via della poca quantità di metallo richiesto per la sua creazione. Le spade, invece, erano le armi per l’élite militare. Una spada richiedeva una dimestichezza differente da quella di una scure, e di conseguenza un individuo particolarmente in grado di brandirla.


Di fronte a questa maestria bellica, derivata dalla sedimentazione di una tradizione culturale guerresca che si spinge molto indietro nel tempo, le popolazioni anglo-sassoni e baltiche non erano in grado di offrire una vera difesa. Conta molto il fatto che gli stessi inglesi non sapevano della loro esistenza e l’ultima cosa che si sarebbero aspettati erano flotte di drakkar (le navi vichinghe) arrivare da est sulle coste dei regni della Northumbria e del Wessex.


I vichinghi credevano in una vita migliore dopo la morte, fatta di ulteriori combattimenti nelle sale degli dèi, e forse anche per via di questo frangente spirituale-religioso erano molto avvezzi alla guerra. La morte giunta sul campo di battaglia veniva ricompensata da una cavalcata assieme alle Valchirie, che trasportavano l’impavido nel Valhalla, il regno di Odino, padre degli dèi.


L’opera televisiva è tutt’ora in corso e annovera un seguito molto vasto di followers in tutto il mondo. È difficile fare previsioni sui risvolti che la produzione potrà prendere, ma di sicuro Hirst si è già ampiamente guadagnato l’ingresso nel valhalla.

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