Piccole verità
Quando le frecce nella faretra si son esaurite, quando lampanti guerrieri non cavalcano più le immense praterie, non resta che usare un etnonimo; con l’espressione “Indiani d’America”, infatti, si è soliti indicare le popolazioni che abitavano il continente americano, prima della colonizzazione europea e i loro odierni discendenti.
Gli occhi allungati, gli zigomi sporgenti e i capelli per lo più scuri e lisci dei nativi americani, portarono gli antropologi a ipotizzare la discendenza dei pelle rossa da antichi ceppi asiatici, che attraversarono lo stretto di Bering nella preistoria. Questa ipotesi, scientificamente accreditata e confermata poi da successivi studi linguistici e genetici, teorizza infatti, che 13mila anni fa, l'uomo sarebbe migrato dall'Eurasia, verso l'America attraversando la Beringia, una lingua di terra, che all'epoca univa i due continenti. Questi uomini si sarebbero poi spostati più a sud, fino ad abitare tutto il continente e diversificandosi in migliaia di etnie e tribù differenti.
La colonizzazione Occidentale del continente americano e la successiva nascita della nazione statunitense, andò però a sconvolgere la demografia di queste popolazioni autoctone. L’espansione dei coloni americani, infatti, strappò la maggior parte dei territori ai nativi, che furono costretti, con la forza o con l’inganno, a spostarsi in zone più contenute, meglio intese con il nome di riserve ossia, spazi di vera e propria segregazione.
Negli anni ’30 dell’Ottocento, la guerra agli Indiani raggiunse l’apice della sua virulenza; nel 1832 la guerra contro Falco Nero a capo dei Sauk e dei Fox, che si opponevano all’esproprio dei territori dell’Illinois, si concluse con il massacro di Bad Axe River. E sempre nello stesso periodo, il mancato rispetto dei diritti umani, nei riguardi dei nativi, è ben rappresentato dal caso dei Cherokee della Georgia. Se in un primo momento, grazie a svariati trattati, gli venne riconosciuta dignità di Nazione, con cultura e leggi proprie, la scoperta dell’oro nei loro territori, portò le autorità americane a dichiarare nulli i loro diritti e durante la deportazione forzata del popolo Cherokee, circa un quarto di essi, non sopravvisse.
L’ultimo tragico episodio, che di fatto sancisce la fine della guerra agli Indiani, accade nel 1890. Si parla del massacro di Wounded Knee, dove il popolo Sioux, con donne e bambini compresi, venne letteralmente sterminato, nonostante si fosse già arreso.
Per quanto riguarda la cinematografia, Definito da Bazin, il cinema americano per eccellenza, il genere western coincide con il racconto “mitico” e “mitologico” di come gli USA divennero una nazione. Da D.W. Griffith a John Ford, il genere western rappresenta l’avanzata verso Ovest, da parte della cultura e della civiltà, verso la natura barbara e selvaggia. Si palesa l’American way of life, il modello americano della grande civiltà bianca, che combatte le barbarie dei selvaggi, che conquista il West attraverso aridi deserti e indomiti pistoleri.
Questa è l’immagine che Hollywood proietta per tutto il suo periodo classico, fin quando, nel corso degli anni ’70, la New Hollywood – ossia il processo di ridefinizione dei caratteri dell’industria cinematografica americana – comincia a rivisitare in chiave politica, il passato americano. Non a caso, infatti, molti registi, non più intesi come semplici artigiani della macchina da presa ma, come veri e propri studiosi, si interessano al genere western; mettere in discussione il mito della fondazione della nazione americana, demistificare la leggenda della conquista del West, significa infatti mettere in totale discussione il sopracitato American way of life.
Esemplare e, soprattutto riassuntivo di questa denuncia, è il regista Sam Packinpah. Egli rappresenta il processo di civilizzazione del West, come una spietata operazione di rapina, tesa a imporre, con la forza e con l’inganno, le leggi del Capitalismo. Inutile, dunque, per i grandi piccoli eroi crepuscolari, opporre resistenza; la distruzione delle popolazioni autoctone, di cui si esaltano gli alti valori spirituali, in contrapposizione al materialismo dei bianchi, è ormai un dato di fatto ma, la denuncia, la presa di coscienza, affinché si possa riflettere e imparare dagli errori, è forse l’unico modo per chiedere scusa allo spirito dei Pelle Rossa.