Tunisia meridionale
Approdiamo nella turistica, caotica ed assolata Djerba. Qui c’è tutto. Ci sono villaggi, turisti, comodità e quiete. Troppa quiete. No, noi non cerchiamo la quiete. Siamo dei viandanti per indole e cerchiamo forti emozioni, sensazioni che riescano a scuotere l’anima.
Ci mettiamo in cammino lungo un’infinita no man’s land che collega l’isola all’entroterra della Tunisia. È una strada ripetitiva, dritta, tutta uguale. Attorno dimorano solo distese di pascoli per dromedari e piccoli cespugli che sopravvivono all’afa, tra la polvere e la sabbia.
Albeggia. All’orizzonte ci appare lui: Chott El Jerid lo chiamano. Le spiegazioni tecniche e storiche di chi ci accompagna in questa avventura si dissolvono alla vista dello splendore del lago salato. È l’immensità del bianco, è luce.
Qualche chilometro ancora di strada, la solita strada, e arriviamo a Douz, la dodicesima postazione dell’esercito francese, le porte del deserto del Sahara. Dune di granelli sottili, quasi impercettibili, granelli dorati che sfuggono alle dita. Dune altissime, dolci come carezze, dune che avvolgono lo sguardo di chi, come noi, al tramonto, si concede qualche minuto per perdersi nell’orizzonte. La voglia di correre è troppa, pazza, incontrollabile. Così, a piedi nudi, felici come bambini, saltiamo, corriamo, affondiamo le dita nella sabbia, cadiamo, ci rialziamo sorridenti, salutando il sole severo che torna a dormire.
Il nuovo giorno ci sorride e dopo aver visitato Matmata, villaggio troglodita dall’architettura scavata completamente nel terreno, partiamo alla volta delle oasi. Oasi verdi, rigogliose, salvezza per molti avventurieri del passato. Oasi ricolme di frutta e acqua, nascoste nel silenzio dell’arsura circostante. I datteri qui sono enormi, succosi, miele soave, anche se, al termine di questo viaggio, l’addio alle oasi e alle dune è abissalmente più amaro.