Uno studio preliminare
Gli obiettivi decretati per affrontare in maniera preliminare gli studi sugli affreschi della Basilica di San Domenico a Siena, sono stati sostanzialmente due: ricostruire, per quanto possibile, la storia architettonica della sagrestia e inquadrare gli affreschi della sua volta, poco studiati dopo i restauri degli anni Novanta, condotti dal fiorentino Giacomo Dini.
Per quanto concerne l’architettura, ciò che maggiormente interessa di San Domenico, e in particolare della sua sagrestia, è il carattere monumentale dell’ambiente. Durante lo svolgimento dei lavori trecenteschi della chiesa, la sagrestia fu ampliata e rinnovata -fra il 1374 e il 1383- con lo scopo di creare un ambiente simmetrico e di dimensioni identiche alla cappella del Beato Ambrogio, la quale fu distrutta nel 1479 a quasi duecento anni dalla sua edificazione. I lavori per la nuova sagrestia avvennero in concomitanza con l’arrivo della reliquia della testa di Santa Caterina da Siena nella sua cittá d’origine. La reliquia fu conservata all’interno della nuova sagrestia dal 1385 fino al 1468, anno in cui venne finalmente spostata nella nuova cappella a lei dedicata.
La volta della nuova sagrestia venne affrescata alcuni anni dopo i rifacimenti conclusi nel 1383. Un documento datato 1416, regestato nel manoscritto Spoglio di Strumenti dal 1251 al 1506 volume XII (Biblioteca Comunale degli Intronati – Siena, B.VI.12 ) svela un interessante aneddoto circa l’ingente donazione che permise l’ornamento della volta. L’11 agosto del 1416, il cavaliere Domenico Monaldi ordinò nel suo testamento che 500 fiorini andassero al convento di San Domenico, qualora le sue figlie e i suoi eredi fossero morti senza essersi sposati. Il 12 novembre del 1426, Lena -figlia del cavaliere Monaldi- morì senza essersi sposata e i 500 fiorini d’oro andarono al convento.
Nella volta sono affrescati i santi e i beati domenicani più cari all’ordine, raffigurati con le effigi che ne avevano caratterizzato la vita e l’operato religioso. Al centro della volta sono rappresentate le due figure contrapposte di principale importanza: Cristo in trono e la Madonna. Entrambe le raffigurazioni sono in campo azzurro con stelle dorate, circondate rispettivamente da cherubini. Al centro della volta, sempre in campo azzurro, erano presenti sei medaglioni incorniciati da fasce circolari policrome -due per ogni lato lungo ed uno per il lato più corto-, all’interno dei quali erano raffigurati beati e santi dell’ordine domenicano con aureole e fondo completamente dorati. Due di queste figurazioni sono oggi ben conservate e visibili nella loro quasi completezza: il Beato Vincenzo (Ferrer) e la Beata Libania di Ungheria, entrambi identificabili grazie alle iscrizioni latine in lettere dorate che corrono nell’incorniciatura rossa dei medaglioni. L’iscrizione in latino posta nella cornice del medaglione in cui é inserita l’immagine della beata ungherese non lascia dubbi sulla sua identitá; tuttavia non esistono documentazioni che accertino l’esistenza della Beata Libania di Ungheria. L’analisi comparativa dei caratteri iconografici di Beata Libania con altre pale d’altare in cui sono rappresentati santi e beati domenicani, d’altra parte, rende lecito supporre che si tratti di Margherita di Ungheria vissuta tra il 1242 e il 1270.
Iconografia e iscrizione cozzano tra loro e sollevano nuovi interrogativi che si annullano alla luce dell’iscrizione, unica certezza incontestabile. Alla sinistra del Cristo in trono troviamo un frammento della cornice policroma di uno dei sei medaglioni, nel quale è presente l’iscrizione del beato che in passato vi era raffigurato, il Beato Enrico. Purtroppo non ci è pervenuto nessun frammento figurativo del beato a causa delle numerose lacune presenti nel ciclo, ma é possibile ipotizzare che si tratti del Beato Enrico di Suso (1295 -1366), originario di Costanza.
Nei sottarchi della volta della sagrestia è assai difficile capire chi fossero i dieci, tra santi e beati domenicani, raffigurati nelle unghie che incorniciano la volta. Oggi è possibile identificarne almeno due: la Beata Agnese Segni da Montepulciano (1274), riconoscibile grazie ad un’iscrizione in volgare posta sulla fascia che incornicia la volta, e il Beato Raimondo da Capua riconoscibile grazie ad un’iscrizione in bianco molto frammentata sullo sfondo blu, posizionata alla sinistra del beato. Attorno alla volta troviamo fasce decorate con motivi vegetali che sottolineano la divisione dello spazio; all’interno delle fasce vi sono motivi a rosetta e romboidali contenenti figure di profeti, ognuno dei quali tiene in mano un cartiglio che ne indica il nome. La decorazione della volta è rifinita ulteriormente dalle fasce decorative che contornano le unghie dei sottarchi, caratterizzate dalla stessa decorazione floreale di colore verde e rosso, tono su tono, dell’intera sagrestia. Diversamente dalle fasce attorno alla volta che contenevano rappresentazioni di profeti inscritti in formelle romboidali, troviamo all’interno di queste delle teste di carattere. Alla base della volta si alternano decorazioni a rosetta/ testa di carattere/ rosetta, mentre ai lati del sottarco troviamo due teste di carattere per parte.
Questi affreschi superstiti sono stati attribuiti ad Agostino di Marsilio, attivo a Siena dal 1440 circa al 1462, anno della sua morte. L’attribuzione all’artista bolognese è stata possibile grazie a numerosi confronti fatti con gli affreschi dell’artista nella volta del Pellegrinaio, presenti all’interno dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena e nel ciclo di affreschi della sala dell’Albero nel palazzo del comune di Lucignano della Chiana (AR). Agostino, con molta probabilità, affrescò la volta della sagrestia pochi anni dopo il 1426.