Rino Gaetano e la cockerina
Ennesimo anniversario della morte troppo precoce di un artista che interpretò l'impegno a modo suo, geniale, con canzoni che uscivano dall'ideologico ma dipingevano in maniera perfetta il caos di un'Italia in crisi e padrona di una mediocrità farlocca che a breve sarebbe diventata una "Milano da bere"...
Rino Gaetano, calabrese di Crotone ma abitante di Roma, cullava grandi sogni e progettava un avvenire diverso da quello che la scuola gli poteva assicurare. A Narni, nel seminario condotto dai frati della “Piccola Opera del Sacro Cuore”, dove nel 1960 i genitori lo avevano iscritto, si sentiva mancare l’aria e anziché applicarsi nello studio, riempiva i quaderni con appunti, schizzi, disegni; poemetti, accordi musicali e testi per le ‘sue’canzoni.
Tornato nella capitale nel 1967, col diploma di ragioniere, inizia a svolgere un sacco di mestieri per pagarsi le spese e non pesare sulla famiglia, non certo facoltosa. E litiga col padre al quale infine promette che se entro un anno non riuscirà a sfangarla nel campo artistico, se ne andrà buono buono a lavorare in banca.
A tal fine si dà veramente daffare, frequentando gli ambienti musicali, formando un complessino rock, affacciandosi alle radio private, insomma tentando in ogni modo di farsi notare.
Rino dimostra di avere le carte in regola per giungere al successo: si accompagna con la chitarra, canta con una voce aspra e inconfondibile, compone canzoni ed è simpaticamente ironico. Comincia così ad avere alcune soddisfazioni e a crearsi un gruppetto di fedeli estimatori e seguaci.
Ma a questo punto occorre un colpo di fortuna, un aiutino determinante per riuscire a emergere dalla massa. E non risultano determinanti nemmeno le molte amichevoli cortesie di cantautori, cantanti e uomini ‘in vista’ del settore.
Forse la spinta decisiva, quel clic che gli ha consentito di salire sul treno giusto è stato l’incontro con Vincenzo Micocci il quale, nonostante pensi che “Gaetano usa la chitarra come una zappa” apprezza appieno le qualità artistiche di Rino, ne individua lo straordinario ascendente che esercita sul pubblico e intuisce la potenzialità del personaggio nascente.
È infatti con questo signore che impera nell’ambito discografico con tratto cortese e garbato, eccezionale arguzia e ‘fiuto’ da vero talent scout, che Rino stabilisce un’intesa amichevole e determinante.
Con lui incide nel 1973 il suo primo 45 giri. Utilizzando però lo pseudonimo di Kammamuri (ispirato dal guerriero salgariano dei “Pirati della Malesia”, che lui tanto amava). E per mimetizzarsi ancora meglio vorrebbe affidare a un collega il compito di cantare. Da queste ritrosie si capisce che il ‘nostro’ non era poi quel ragazzaccio spavaldo, infingardo, dissacratore e sicuro di sé che le cronache ci hanno dipinto. Era anzi timido, pieno di pudori e soprattutto voleva proporsi solamente come autore e non come cantante. C’è un precedente che gli aveva procurato acuta delusione e che può aver minato le sue certezze: ricordate gli studi al Collegio di Narni? Ebbene, Rino fu allora escluso dal coro del seminario in quanto troppo stonato!
Micocci invece era sicuro che quella sua voce particolare, sgraziata e naif e il suo atteggiamento estroso e pittoresco, sarebbero state delle preziose carte vincenti. Che avesse ragione e che fece benissimo a insistere fino a convincerlo lo testimonia la storia.
Il 45 giri non fu un successo strepitoso ma servì a far entrare Rino nel giro buono e ad agitare il placido panorama discografico del tempo.
Catturò infatti l’attenzione dei primi censori che con la puzza sotto il naso, non solo criticarono aspramente il suo lavoro ma iniziarono a screditarlo anche come individuo.
Il pretesto in questa occasione era dato dal titolo di una delle due tracce del disco “I love you Marianna” e dal suo strampalato contenuto senza senso che li indusse a pensare che l’autore alludesse alla Marijuana (Cannabis) senza minimamente considerare che Marianna era una abitante dei romanzi di Salgari e che la nonna di Rino si chiamava Marianna! Chissà da che parte sta la verità?
Segue un periodo di anni propizi al cantautore calabrese che sforna un altro 45 giri e che nel 1974 esce con l’album “Ingresso libero”: non clamoroso tuttavia utile a consolidare la sua fama di autore ed esecutore di brani surreali e ammiccanti.
Però è nel 1975 che spicca definitivamente il volo con la canzone “Ma il cielo è sempre più blu” che occupa le due facciate del singolo, che viene un po’ ‘ripulita’ dalla censura e che vende subito centinaia di migliaia di copie. È una lunghissima filastrocca musicata con una melodia semplice e un solo accordo ripetuto all’infinito (in termine tecnico riff) sul quale Rino sciorina versi alla rinfusa che parlano di ogni situazione e che alla fine risultano una amara metafora della vita che va avanti nonostante tutto:
“… Chi ama la zia chi va a Porta Pia, / chi legge la mano, chi regna sovrano / chi suda, chi lotta, chi mangia una volta / chi gli manca la casa, chi vive da solo / chi prende assai poco, chi gioca col fuoco / Ma il cielo è sempre più blu, u, u, u”. Chiaramente una cosa simile non si era mai ascoltata prima: un sasso scagliato nelle acque calme delle canzonette.
Pure nel “75, a una festa privata viene presentato ad Amelia Conte, una piacevole ragazza che pensa subito “ Mamma mia, che spilungone magro-magro, allampanato e coi brufoli in faccia: è il più brutto della sala!”. Lui la corteggia, Amelia cerca di scaricarlo… ma poi, come succede nelle favole, se ne innamora e si fidanza con lui!
Veniamo ora all’episodio che dà il titolo a questo articolo.
Siamo nel luglio 1976, è appena uscito il suo secondo LP “Mio fratello è figlio unico” e Rino Gaetano lo sta promuovendo con numerosi incontri, interviste dei media e apparizioni in TV.
Sulla copertina dell’album vi è la simbolica figura di un cane smilzo, abbacchiato, impaurito e con la coda tra le gambe, che viene inquadrato dal cono di luce di un riflettore e che ben rappresenta il tema della solitudine e dell’emarginazione trattato nel disco. Alcuni versi sono in tal senso significativi: “… Chi mi dice ti amo? / Chi mi dice ti amo se togli il cane, / escluso il cane?”
Sul primo canale nazionale RAI (non erano ancora apparse le TV private) nel programma “Adesso musica” Rino entra nello studio portando in braccio un cane e alla domanda del conduttore Nino Fuscagni: “Cosa hai voluto simboleggiare venendo qui col tuo cagnolino?” risponde: ”Intanto ho voluto darti la possibilità di intervistare due cani in un colpo solo… e poi il cane c’entra moltissimo col mio nuovo album perché penso che sia l’espressione dell’emarginato, dell’escluso e della solitudine, per eccellenza”.
Quel cagnolino era in effetti un bellissimo esemplare femmina, pezzato bianco e nero, di Cocker Spaniel e quindi si trattava precisamente di una cocke-rina (di nome Carolina).
Rino canta “Berta filava”, canzone orecchiabile e di grande impatto, seduto su un gradino dello studio, tenendo la bestiola sulle ginocchia, accarezzandola e facendola giocare con una palla da tennis. Il muso e soprattutto gli occhi umidi di languore, timorosi e imbarazzati della cockerina, ripresi in primo piano dalla telecamera, procurarono grande emozione e tanta tenerezza (effetti che si provano ancor oggi nel rivedere il filmato). E forse nell’espressione del suo cane si riflettevano molti dei sentimenti che lui stesso provava e nascondeva pudicamente nel profondo dell’animo.
Per inciso, rammento un altro cane apparso anni dopo in TV e divenuto famosissimo grazie all’alto quoziente di dolcezza, simpatia e ‘compassione’ che muoveva.
Si tratta di Has Fidanken, (che, guarda caso, è ancora una graziosa cockerina, però color champagne) che Gianfranco D’Angelo, nella trasmissione “Drive in”, tentava inutilmente di convincere a collaborare con lusinghe, parole sussurrate nelle orecchie e ordini perentori. Niente da fare! Has Fidanken rimaneva immobile e mogio mogio sopportava gli urli e la rabbia crescente del suo padrone, mentre con lo sguardo pareva dicesse “Ma guarda cosa mi tocca fare!”.
La scenetta era divenuta così famosa che i giocatori della Roma nella semifinale di “Coppa dei Campioni” del 1984 in Germania contro la Dinamo Berlino, dribblavano e si passavano il pallone gridando a mo’ di sfida “Has - Has…Fidanken”. Vinsero la partita ma nella finale contro il Liverpool, giocata proprio a Roma, subirono l’umiliazione della sconfitta per 5-3 ai calci di rigore.
Torniamo al nostro protagonista che sull’onda del successo crescente sforna altri dischi, viene invitato a parecchie trasmissioni televisive, prosegue nel suo atteggiamento spavaldo fatto di ironia graffiante, di testi allusivi e di look pittoreschi.
Partecipa di malavoglia al Festival di Sanremo del 1978 per timore di alienarsi i consensi dei suoi fan più ‘ortodossi’ e perché la RCA lo convince (o costringe?) a cantare “Gianna”, canzone accattivante, simile nella ritmica e nell’armonia a “Berta filava”, anziché “Nuntereggae più” troppo trasgressiva. La casa discografica ebbe ragione e Rino conquistò il terzo posto (dietro i Matia Bazar, con Antonella Ruggiero, primi con “E dirsi ciao!” e una Anna Oxa cicciottella con la valigetta e non ancora sofisticata, con “Un’emozione da poco”).
Tanto per tener fede al suo personaggio, Gaetano si era presentato con in testa una tuba (regalo di Renato zero), maglietta a righe rosse e bianche, papillon e un frac nero zeppo di medaglie colorate e fasulle che lui si divertiva a regalare agli orchestrali e a gettare al pubblico. Altro particolare lezioso: suona l’ukulele che è un chitarrone hawaiano a 4 corde. La sua canzone vola subito verso un enorme successo di applausi e di vendite.
“Nuntereggae più” viene inserita nel suo quarto album. Già il titolo è indovinato ed efficace: “Non ti reggo più” non avrebbe avuto il medesimo impatto! Ma, oltre a ottenere la massima diffusione ed elevati indici di popolarità, solleva grandissimo scalpore e riceve una mitragliata di critiche in quanto si è divertito a mettere alla berlina un sacco di notissimi e suscettibili personaggi dell’epoca.
Vedono poi la luce altri due album di buon ascolto: il quinto “Resta vile maschio, dove vai?” e nel 1980 il suo sesto ed ultimo “E io ci sto”.
Il 2 giugno 1981 Rino ha solo 31 anni e tante canzoni ancora da cantare, quando il destino -complice forse un malore, o l’imprudenza, o la sonnolenza causata da qualche bicchiere di troppo- lo ferma tragicamente. Di notte, a Roma, oramai vicino a casa, con la sua Volvo invade la corsia opposta e fa un frontale contro un incolpevole camion. I soccorsi ritardano e diversi ospedali non sono attrezzati per riceverlo… ma nulla avrebbero potuto comunque fare per salvargli la vita.
Con la sua fine resta muta una voce ruvida, penetrante e significativa, si spegne la graffiante e incorruttibile ironia che molti temevano, si chiudono per sempre quegli occhioni languidi di solitudine da cocker incompreso e osteggiato.
La morte del cantautore calabrese ci presenta tre coincidenze che fanno pensare.
-Gaetano era un ammiratore (e un po’ imitatore) di Fred Buscaglione per la sua voce tabaccosa, per come cantava e per quella sua aria indolente e irridente. Ebbene pure Fred a Roma all’alba del 3 febbraio 1960, quando aveva 38 anni, venne travolto da un camion che non si fermò a uno stop. Anche lui era reduce da un giro notturno nei locali della capitale (in compagnia, pare, della Anitona Eckberg).
-Nei famosi quaderni di scuola riempiti di appunti, Rino aveva scritto il testo della canzone “Quando Renzo morì io ero al bar” in seguito pubblicata col titolo “La ballata di Renzo”. Testo che riletto oggi ha sentore di profezia. Vi si racconta di un giovane che investito da un auto muore rifiutato da vari ospedali romani, tra i quali gli stessi che non accolsero Gaetano: “La strada era buia, s’andò al San Camillo / e lì non l’accettarono forse per l’orario, / si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni / e lì non lo vollero per lo sciopero. / Era ormai l’alba e andarono al Policlinico / ma lo si mandò via …”.
-Un anno prima dell’incidente fatale Rino aveva avuto un preavviso: alla guida dell’auto fu centrato da un fuoristrada che viaggiava contromano. La sua Volvo 343 grigia metallizzata venne letteralmente frantumata, ma lui subì solo lievi danni fisici. Per gratitudine verso la macchina che lo aveva così bene protetto, si affrettò ad acquistare una nuova auto perfettamente uguale alla precedente. Ma né il fato né il robusto veicolo valsero a salvargli la vita per la seconda volta.
Rino Gaetano è sepolto nel cimitero romano del Verano: la sua tomba piena (fin troppo) di colori, di scritte con titoli e versi di canzoni, di reperti e vari oggetti ricordo, proprio nel luglio scorso è stata saccheggiata da ‘ignoti’ che hanno portato via il quaderno con le dediche dei visitatori, vasi, posacenere e soprattutto hanno sottratto la riproduzione -in luminoso marmo pregiato- dell’ukulele che Rino aveva suonato al Sanremo “78 e che la sorella Anna, con tanta devozione e una spesa non indifferente, aveva fatto scolpire,
Chiunque sia stato a perpetrare lo sfregio e a qualunque titolo abbia agito ha tutto il nostro disprezzo.
Fabiano Braccini
Tornato nella capitale nel 1967, col diploma di ragioniere, inizia a svolgere un sacco di mestieri per pagarsi le spese e non pesare sulla famiglia, non certo facoltosa. E litiga col padre al quale infine promette che se entro un anno non riuscirà a sfangarla nel campo artistico, se ne andrà buono buono a lavorare in banca.
A tal fine si dà veramente daffare, frequentando gli ambienti musicali, formando un complessino rock, affacciandosi alle radio private, insomma tentando in ogni modo di farsi notare.
Rino dimostra di avere le carte in regola per giungere al successo: si accompagna con la chitarra, canta con una voce aspra e inconfondibile, compone canzoni ed è simpaticamente ironico. Comincia così ad avere alcune soddisfazioni e a crearsi un gruppetto di fedeli estimatori e seguaci.
Ma a questo punto occorre un colpo di fortuna, un aiutino determinante per riuscire a emergere dalla massa. E non risultano determinanti nemmeno le molte amichevoli cortesie di cantautori, cantanti e uomini ‘in vista’ del settore.
Forse la spinta decisiva, quel clic che gli ha consentito di salire sul treno giusto è stato l’incontro con Vincenzo Micocci il quale, nonostante pensi che “Gaetano usa la chitarra come una zappa” apprezza appieno le qualità artistiche di Rino, ne individua lo straordinario ascendente che esercita sul pubblico e intuisce la potenzialità del personaggio nascente.
È infatti con questo signore che impera nell’ambito discografico con tratto cortese e garbato, eccezionale arguzia e ‘fiuto’ da vero talent scout, che Rino stabilisce un’intesa amichevole e determinante.
Con lui incide nel 1973 il suo primo 45 giri. Utilizzando però lo pseudonimo di Kammamuri (ispirato dal guerriero salgariano dei “Pirati della Malesia”, che lui tanto amava). E per mimetizzarsi ancora meglio vorrebbe affidare a un collega il compito di cantare. Da queste ritrosie si capisce che il ‘nostro’ non era poi quel ragazzaccio spavaldo, infingardo, dissacratore e sicuro di sé che le cronache ci hanno dipinto. Era anzi timido, pieno di pudori e soprattutto voleva proporsi solamente come autore e non come cantante. C’è un precedente che gli aveva procurato acuta delusione e che può aver minato le sue certezze: ricordate gli studi al Collegio di Narni? Ebbene, Rino fu allora escluso dal coro del seminario in quanto troppo stonato!
Micocci invece era sicuro che quella sua voce particolare, sgraziata e naif e il suo atteggiamento estroso e pittoresco, sarebbero state delle preziose carte vincenti. Che avesse ragione e che fece benissimo a insistere fino a convincerlo lo testimonia la storia.
Il 45 giri non fu un successo strepitoso ma servì a far entrare Rino nel giro buono e ad agitare il placido panorama discografico del tempo.
Catturò infatti l’attenzione dei primi censori che con la puzza sotto il naso, non solo criticarono aspramente il suo lavoro ma iniziarono a screditarlo anche come individuo.
Il pretesto in questa occasione era dato dal titolo di una delle due tracce del disco “I love you Marianna” e dal suo strampalato contenuto senza senso che li indusse a pensare che l’autore alludesse alla Marijuana (Cannabis) senza minimamente considerare che Marianna era una abitante dei romanzi di Salgari e che la nonna di Rino si chiamava Marianna! Chissà da che parte sta la verità?
Segue un periodo di anni propizi al cantautore calabrese che sforna un altro 45 giri e che nel 1974 esce con l’album “Ingresso libero”: non clamoroso tuttavia utile a consolidare la sua fama di autore ed esecutore di brani surreali e ammiccanti.
Però è nel 1975 che spicca definitivamente il volo con la canzone “Ma il cielo è sempre più blu” che occupa le due facciate del singolo, che viene un po’ ‘ripulita’ dalla censura e che vende subito centinaia di migliaia di copie. È una lunghissima filastrocca musicata con una melodia semplice e un solo accordo ripetuto all’infinito (in termine tecnico riff) sul quale Rino sciorina versi alla rinfusa che parlano di ogni situazione e che alla fine risultano una amara metafora della vita che va avanti nonostante tutto:
“… Chi ama la zia chi va a Porta Pia, / chi legge la mano, chi regna sovrano / chi suda, chi lotta, chi mangia una volta / chi gli manca la casa, chi vive da solo / chi prende assai poco, chi gioca col fuoco / Ma il cielo è sempre più blu, u, u, u”. Chiaramente una cosa simile non si era mai ascoltata prima: un sasso scagliato nelle acque calme delle canzonette.
Pure nel “75, a una festa privata viene presentato ad Amelia Conte, una piacevole ragazza che pensa subito “ Mamma mia, che spilungone magro-magro, allampanato e coi brufoli in faccia: è il più brutto della sala!”. Lui la corteggia, Amelia cerca di scaricarlo… ma poi, come succede nelle favole, se ne innamora e si fidanza con lui!
Veniamo ora all’episodio che dà il titolo a questo articolo.
Siamo nel luglio 1976, è appena uscito il suo secondo LP “Mio fratello è figlio unico” e Rino Gaetano lo sta promuovendo con numerosi incontri, interviste dei media e apparizioni in TV.
Sulla copertina dell’album vi è la simbolica figura di un cane smilzo, abbacchiato, impaurito e con la coda tra le gambe, che viene inquadrato dal cono di luce di un riflettore e che ben rappresenta il tema della solitudine e dell’emarginazione trattato nel disco. Alcuni versi sono in tal senso significativi: “… Chi mi dice ti amo? / Chi mi dice ti amo se togli il cane, / escluso il cane?”
Sul primo canale nazionale RAI (non erano ancora apparse le TV private) nel programma “Adesso musica” Rino entra nello studio portando in braccio un cane e alla domanda del conduttore Nino Fuscagni: “Cosa hai voluto simboleggiare venendo qui col tuo cagnolino?” risponde: ”Intanto ho voluto darti la possibilità di intervistare due cani in un colpo solo… e poi il cane c’entra moltissimo col mio nuovo album perché penso che sia l’espressione dell’emarginato, dell’escluso e della solitudine, per eccellenza”.
Quel cagnolino era in effetti un bellissimo esemplare femmina, pezzato bianco e nero, di Cocker Spaniel e quindi si trattava precisamente di una cocke-rina (di nome Carolina).
Rino canta “Berta filava”, canzone orecchiabile e di grande impatto, seduto su un gradino dello studio, tenendo la bestiola sulle ginocchia, accarezzandola e facendola giocare con una palla da tennis. Il muso e soprattutto gli occhi umidi di languore, timorosi e imbarazzati della cockerina, ripresi in primo piano dalla telecamera, procurarono grande emozione e tanta tenerezza (effetti che si provano ancor oggi nel rivedere il filmato). E forse nell’espressione del suo cane si riflettevano molti dei sentimenti che lui stesso provava e nascondeva pudicamente nel profondo dell’animo.
Per inciso, rammento un altro cane apparso anni dopo in TV e divenuto famosissimo grazie all’alto quoziente di dolcezza, simpatia e ‘compassione’ che muoveva.
Si tratta di Has Fidanken, (che, guarda caso, è ancora una graziosa cockerina, però color champagne) che Gianfranco D’Angelo, nella trasmissione “Drive in”, tentava inutilmente di convincere a collaborare con lusinghe, parole sussurrate nelle orecchie e ordini perentori. Niente da fare! Has Fidanken rimaneva immobile e mogio mogio sopportava gli urli e la rabbia crescente del suo padrone, mentre con lo sguardo pareva dicesse “Ma guarda cosa mi tocca fare!”.
La scenetta era divenuta così famosa che i giocatori della Roma nella semifinale di “Coppa dei Campioni” del 1984 in Germania contro la Dinamo Berlino, dribblavano e si passavano il pallone gridando a mo’ di sfida “Has - Has…Fidanken”. Vinsero la partita ma nella finale contro il Liverpool, giocata proprio a Roma, subirono l’umiliazione della sconfitta per 5-3 ai calci di rigore.
Torniamo al nostro protagonista che sull’onda del successo crescente sforna altri dischi, viene invitato a parecchie trasmissioni televisive, prosegue nel suo atteggiamento spavaldo fatto di ironia graffiante, di testi allusivi e di look pittoreschi.
Partecipa di malavoglia al Festival di Sanremo del 1978 per timore di alienarsi i consensi dei suoi fan più ‘ortodossi’ e perché la RCA lo convince (o costringe?) a cantare “Gianna”, canzone accattivante, simile nella ritmica e nell’armonia a “Berta filava”, anziché “Nuntereggae più” troppo trasgressiva. La casa discografica ebbe ragione e Rino conquistò il terzo posto (dietro i Matia Bazar, con Antonella Ruggiero, primi con “E dirsi ciao!” e una Anna Oxa cicciottella con la valigetta e non ancora sofisticata, con “Un’emozione da poco”).
Tanto per tener fede al suo personaggio, Gaetano si era presentato con in testa una tuba (regalo di Renato zero), maglietta a righe rosse e bianche, papillon e un frac nero zeppo di medaglie colorate e fasulle che lui si divertiva a regalare agli orchestrali e a gettare al pubblico. Altro particolare lezioso: suona l’ukulele che è un chitarrone hawaiano a 4 corde. La sua canzone vola subito verso un enorme successo di applausi e di vendite.
“Nuntereggae più” viene inserita nel suo quarto album. Già il titolo è indovinato ed efficace: “Non ti reggo più” non avrebbe avuto il medesimo impatto! Ma, oltre a ottenere la massima diffusione ed elevati indici di popolarità, solleva grandissimo scalpore e riceve una mitragliata di critiche in quanto si è divertito a mettere alla berlina un sacco di notissimi e suscettibili personaggi dell’epoca.
Vedono poi la luce altri due album di buon ascolto: il quinto “Resta vile maschio, dove vai?” e nel 1980 il suo sesto ed ultimo “E io ci sto”.
Il 2 giugno 1981 Rino ha solo 31 anni e tante canzoni ancora da cantare, quando il destino -complice forse un malore, o l’imprudenza, o la sonnolenza causata da qualche bicchiere di troppo- lo ferma tragicamente. Di notte, a Roma, oramai vicino a casa, con la sua Volvo invade la corsia opposta e fa un frontale contro un incolpevole camion. I soccorsi ritardano e diversi ospedali non sono attrezzati per riceverlo… ma nulla avrebbero potuto comunque fare per salvargli la vita.
Con la sua fine resta muta una voce ruvida, penetrante e significativa, si spegne la graffiante e incorruttibile ironia che molti temevano, si chiudono per sempre quegli occhioni languidi di solitudine da cocker incompreso e osteggiato.
La morte del cantautore calabrese ci presenta tre coincidenze che fanno pensare.
-Gaetano era un ammiratore (e un po’ imitatore) di Fred Buscaglione per la sua voce tabaccosa, per come cantava e per quella sua aria indolente e irridente. Ebbene pure Fred a Roma all’alba del 3 febbraio 1960, quando aveva 38 anni, venne travolto da un camion che non si fermò a uno stop. Anche lui era reduce da un giro notturno nei locali della capitale (in compagnia, pare, della Anitona Eckberg).
-Nei famosi quaderni di scuola riempiti di appunti, Rino aveva scritto il testo della canzone “Quando Renzo morì io ero al bar” in seguito pubblicata col titolo “La ballata di Renzo”. Testo che riletto oggi ha sentore di profezia. Vi si racconta di un giovane che investito da un auto muore rifiutato da vari ospedali romani, tra i quali gli stessi che non accolsero Gaetano: “La strada era buia, s’andò al San Camillo / e lì non l’accettarono forse per l’orario, / si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni / e lì non lo vollero per lo sciopero. / Era ormai l’alba e andarono al Policlinico / ma lo si mandò via …”.
-Un anno prima dell’incidente fatale Rino aveva avuto un preavviso: alla guida dell’auto fu centrato da un fuoristrada che viaggiava contromano. La sua Volvo 343 grigia metallizzata venne letteralmente frantumata, ma lui subì solo lievi danni fisici. Per gratitudine verso la macchina che lo aveva così bene protetto, si affrettò ad acquistare una nuova auto perfettamente uguale alla precedente. Ma né il fato né il robusto veicolo valsero a salvargli la vita per la seconda volta.
Rino Gaetano è sepolto nel cimitero romano del Verano: la sua tomba piena (fin troppo) di colori, di scritte con titoli e versi di canzoni, di reperti e vari oggetti ricordo, proprio nel luglio scorso è stata saccheggiata da ‘ignoti’ che hanno portato via il quaderno con le dediche dei visitatori, vasi, posacenere e soprattutto hanno sottratto la riproduzione -in luminoso marmo pregiato- dell’ukulele che Rino aveva suonato al Sanremo “78 e che la sorella Anna, con tanta devozione e una spesa non indifferente, aveva fatto scolpire,
Chiunque sia stato a perpetrare lo sfregio e a qualunque titolo abbia agito ha tutto il nostro disprezzo.
Fabiano Braccini