Vento a Tindari: Quasimodo e la sua terra
Salvatore Quasimodo, un nobel autenticamente siciliano, ancorato alla sua terra nell'anima anche se scelse una vita da emigrante. Una poetica piena di sicilianità, un valore da ritrovare
Un gruppo di amici, una gita, il senso di una malinconia e di un mondo che assale, e si svela diverso, violento, troppo selvaggio da quel che vorremmo. Questa è la celeberrima poesia di Quasimodo. Un respiro di scrittura accarezzata dalla malinconia, come allora il vento accarezzava il promontorio, e la laguna. In tanti hanno detto che la poetica di Quasimodo non può essere spiegata senza la Sicilia. Forse però la verità è che Quasimodo e la sua poesia sono di più. Sono l’etichetta, il manifesto, un ritratto veritiero della Sicilia stessa e della sua profonda anima. Vento a Tindari poteva sgorgare solo lì, a Tindari. Esattamente come le righe in perfetto equilibrio fra il sentimento e l’ermetico potevano vivere solo nel cuore siciliano di un poeta che respirava la precarietà di un’isola inespressa e selvaggia, bella e nuda.
Come Vento a Tindari. Puoi dire che è una poesia che poteva nascere solo nell’Isola nell’isola che sono i Nebrodi, nel loro silenzio ostinato di una terra di cui fuori viene solo un urlo ma non è così. Nebrodi fra dolcezza, asprezza e contraddizione ma su tutto, angolo nascosto di bellezza. Lo sappiamo, Salvatore Quasimodo scelse da subito di non essere un siciliano puro. La sua è stata una vita in eterno viaggio, lontana da casa, da nobile emigrante, mischiata alle metropoli, alle luci e alle nebbie del nord e all’abbondanza del mondo.
Ma l’anima siciliana, nelle sue poesie, la riconosci unica. L’anima che lo fece poeta è quella che già ritrovi in “Acqua e terra” che può essere il brand più autentico della natura siciliana.
L’anima di Quasimodo è quella, la curiosità sofferente mischiata alla contemplazione.
Così lui guardò la natura, e così guardò l’uomo. “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo.” Scrisse così di noi esseri umani, andando ancora accanto al concetto di acqua e terra. Di una essenza. Quasimodo, uomo, ondeggiò. Forse troppo fascista nella guerra. E forse troppo comunista dopo.
Probabilmente la soluzione del personaggio è che Salvatore Quasimodo, come ogni poeta, è voce di una profonda contraddizione inespressa. Scelse di vivere viaggiando, ma tenne la base a Milano, città immersa in quello stesso razionalismo che non accettava. Una contraddizione, che urlava dentro la sua anima che rimaneva in tutte le Tindari della sua giovinezza. Un siciliano che fuggiva da un’isola che lo teneva ancorato. Quello di Quasimodo è il sentimento di molti. Alla fine questa capacità di ancorare è un valore della Sicilia un po’ troppo trascurato. In Quasimodo, questa forza d’attrazione portò al Nobel della letteratura, anche se oggi in troppi disconoscono o ignorano la “sicilianità” di quel premio. La forza di tenere ancorata l’anima di chi la lascia è uno dei valori di un territorio, di un’isola, di un continente che andrebbero ribaditi al mondo.