La giovinezza fra Steinbeck e Kafka
Questa è un’epoca mercantile che il termine giovinezza lo tira continuamente per la giacchetta, perché è convinta che il nome di ogni cosa vale di più se ad accompagnarlo ci mette termini frizzanti, tipo “nuovo”, “cool”, “trendy”, “giovane”…
“Chi è giovane non pensa mai ad invecchiare” diceva John Steinbeck, come a dire che il valore della giovinezza va oltre l’accumularsi di un concetto di tempo. A suggerire che il vecchio e il giovane, non sono certo un numero e a dimostrare quanto avesse ragione, basta riincontrare il senso della sua letteratura, righe che oggi certo non paiono vecchie di settantanni.
No, non è tempo sorpassato la sua poesia, misera e spietata. Quel ritratto di America povera ma giovane, del tutto simile agli angoli meno ombrosi di oggi, quelli vitali, che a volte ancora sopravvivono, nonostante il grigiore globalizzato.
"Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura andare in un posto che non conosci?"
Gli occhi della mamma si fecero pensosi, ma dolci.
"Paura? Un poco. Non voglio pensarci, preferisco aspettare... Quel che ci sarà da fare lo farò..."
Sì, cosa c’è di più giovane della protagonista di Furore e di quel finale, in cui offre il latte che più non serve al figlio nato morto, ad uno sconosciuto affamato.
Non c’è niente di più “nuovo” di quel gesto da madre. Un gesto senza paure. O vergogne. Essenziale, perchè ridà la vita all’altro, seppur sconosciuto. Un altruismo spontaneo, così lontano dal timore dei “vecchi” d’oggi che l’esistenza degli altri possa portare via qualcosa. La paura degli altri a prescindere, siccità del paesaggio contemporaneo.
La bellezza dell’America di Steinbeck, seppur tragica, è un paesaggio che sulla soglia non riesce a nascondere una bellezza e una vitalità da paese giovane.
Gioventù e bellezza. Come la chiave di lettura che Franz Kafka diede della gioventù: “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di scorgere la bellezza, non diventerà mai vecchio.”
Insomma, anche per il Boemo, il numero degli anni non c’entra. La gioventù è un paio di occhiali che ognuno può indossare, la capacità di sintetizzare un’armonia. Già, ma poi a noi resta il mondo fuori dalla nostra finestra, non quello degli Steinbeck, dei Kafka. E viene da chiedersi se i giovani d’oggi, i nostri figli, quelli appoggiati qua e là a zonzo per le città o in qualche piazza virtuale, siano davvero capaci di cogliere una bellezza.
Lo so, probabilmente è il solito dubbio amaro e un po’ iroso di ogni generazione lì per appassire, che prova a spegnere i riflettori puntati altrove, nel tentativo di cancellare un po’ della penombra che comincia ad avvolgerli. La verità è che i giovani d’oggi (come noi ieri) godono dello stesso dono che ogni nuova generazione ha. L’istinto di sottrarsi al tramonto del concetto di bellezza di chi è venuto prima e di costruirne una propria. Dovremmo semplicemente essere in grado di fornire una tecnologia possibile. Perché è questo che manca loro, adesso.
Semplicemente la struttura di una possibilità diversa rispetto al silenzio urlato e banale che li avvolge.
E noi, a noi messi lì in mezzo alla vita, che gioventù rimane? Beh, a noi resta la visione di Ugo Ojetti, scrittore, giornalista, artista del novecento italiano..
“La giovinezza non sta nel mutare idee e passioni ogni giorno, ma nel provare ogni giorno le proprie idee e passioni contro la realtà, per vedere se tagliano.” Ecco, rimanere giovani è mantenere la possibilità di dialettica fra noi, e la realtà. Quel rapporto sincero con la vita, che ci porta ad ammettere che spesso si sbaglia.
In fondo si tratta soltando di tenere desta una domanda: davvero ciò che costruiamo è la realtà che vorremmo, o semplicemente stiamo difendendoci dalla paura delle cose che cambiano?
Forse il modo più semplice per riconoscere un vecchio, è guardare chi ha attorno. Se sceglie solo yes man, gente buona a doppiare parole o pensieri, beh, quello è vecchio, tutto lì. Così come dice Ojetti, la giovinezza che ci rimane è istintivamente circondarci di chi ci pone domande o dubbi, idee, e non scappare dalle loro risposte, specie se sono quelle che non vorremmo...
Insomma, la gioventù ha tante facce ma nessuna che combaci perfettamente con la matematica di un’età.
Giovinezza come entusiasmo. O giovinezza come antitesi del vecchio. Giovinezza come lettura di una bellezza, e giovinezza come capacità di mettersi in discussione.
Tutti aspetti che forse sembrano diversi, eppure se li tieni stretti come chicchi di grano dentro un pugno, ti accorgi che in fondo si raccolgono nella stessa sensazione: l’entusiasmo e la passione necessari a non avere mai paura di quel che viene, quasiasi cosa sia, fosse anche il nuovo.
"Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura andare in un posto che non conosci?"
Gli occhi della mamma si fecero pensosi, ma dolci.
"Paura? Un poco. Non voglio pensarci, preferisco aspettare... Quel che ci sarà da fare lo farò..."
Sì, cosa c’è di più giovane della protagonista di Furore e di quel finale, in cui offre il latte che più non serve al figlio nato morto, ad uno sconosciuto affamato.
Non c’è niente di più “nuovo” di quel gesto da madre. Un gesto senza paure. O vergogne. Essenziale, perchè ridà la vita all’altro, seppur sconosciuto. Un altruismo spontaneo, così lontano dal timore dei “vecchi” d’oggi che l’esistenza degli altri possa portare via qualcosa. La paura degli altri a prescindere, siccità del paesaggio contemporaneo.
La bellezza dell’America di Steinbeck, seppur tragica, è un paesaggio che sulla soglia non riesce a nascondere una bellezza e una vitalità da paese giovane.
Gioventù e bellezza. Come la chiave di lettura che Franz Kafka diede della gioventù: “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di scorgere la bellezza, non diventerà mai vecchio.”
Insomma, anche per il Boemo, il numero degli anni non c’entra. La gioventù è un paio di occhiali che ognuno può indossare, la capacità di sintetizzare un’armonia. Già, ma poi a noi resta il mondo fuori dalla nostra finestra, non quello degli Steinbeck, dei Kafka. E viene da chiedersi se i giovani d’oggi, i nostri figli, quelli appoggiati qua e là a zonzo per le città o in qualche piazza virtuale, siano davvero capaci di cogliere una bellezza.
Lo so, probabilmente è il solito dubbio amaro e un po’ iroso di ogni generazione lì per appassire, che prova a spegnere i riflettori puntati altrove, nel tentativo di cancellare un po’ della penombra che comincia ad avvolgerli. La verità è che i giovani d’oggi (come noi ieri) godono dello stesso dono che ogni nuova generazione ha. L’istinto di sottrarsi al tramonto del concetto di bellezza di chi è venuto prima e di costruirne una propria. Dovremmo semplicemente essere in grado di fornire una tecnologia possibile. Perché è questo che manca loro, adesso.
Semplicemente la struttura di una possibilità diversa rispetto al silenzio urlato e banale che li avvolge.
E noi, a noi messi lì in mezzo alla vita, che gioventù rimane? Beh, a noi resta la visione di Ugo Ojetti, scrittore, giornalista, artista del novecento italiano..
“La giovinezza non sta nel mutare idee e passioni ogni giorno, ma nel provare ogni giorno le proprie idee e passioni contro la realtà, per vedere se tagliano.” Ecco, rimanere giovani è mantenere la possibilità di dialettica fra noi, e la realtà. Quel rapporto sincero con la vita, che ci porta ad ammettere che spesso si sbaglia.
In fondo si tratta soltando di tenere desta una domanda: davvero ciò che costruiamo è la realtà che vorremmo, o semplicemente stiamo difendendoci dalla paura delle cose che cambiano?
Forse il modo più semplice per riconoscere un vecchio, è guardare chi ha attorno. Se sceglie solo yes man, gente buona a doppiare parole o pensieri, beh, quello è vecchio, tutto lì. Così come dice Ojetti, la giovinezza che ci rimane è istintivamente circondarci di chi ci pone domande o dubbi, idee, e non scappare dalle loro risposte, specie se sono quelle che non vorremmo...
Insomma, la gioventù ha tante facce ma nessuna che combaci perfettamente con la matematica di un’età.
Giovinezza come entusiasmo. O giovinezza come antitesi del vecchio. Giovinezza come lettura di una bellezza, e giovinezza come capacità di mettersi in discussione.
Tutti aspetti che forse sembrano diversi, eppure se li tieni stretti come chicchi di grano dentro un pugno, ti accorgi che in fondo si raccolgono nella stessa sensazione: l’entusiasmo e la passione necessari a non avere mai paura di quel che viene, quasiasi cosa sia, fosse anche il nuovo.