Terremoti nel DNA
Il 3 novembre 1706, la Maiella, area geografica montuosa circondata dalle bellissime province di Chieti, Pescara e L'Aquila, famosa ovunque per le sue meraviglie paesaggistiche, viene colpita da uno dei più catastrofici terremoti nella storia dell'Italia centrale. Vittima particolare fu la Valle Peligna, un altopiano interno all'Abruzzo, situato nella provincia dell'Aquila.
Si hanno testimonianze di terremoti in questa zona sin dalla prima età imperiale romana. Il primo sussulto del 3 novembre 1706 giunse quasi all'insaputa della popolazione locale, visto che alcune scosse molto lievi furono avvertite a L'Aquila, ma senza destare alcuna preoccupazione. Intorno all'ora di pranzo la terra iniziò a tremare e in meno di un minuto si consumò uno dei più grandi disastri nella storia del nostro paese. L'epicentro stava vicino a Sulmona, che assieme a Pescara e Chieti, subì danni gravissimi (senza contare le decine di piccoli borghi disseminati nella zona, probabilmente rasi al suolo). La scossa si fece sentire fino in Molise, Lazio e Marche. Il giorno seguente, un secondo sisma completò l'opera di quello precedente, distruggendo ciò che era riuscito a rimanere in piedi. L'esito in vite umane: migliaia di vittime.
L'Italia ha nel proprio DNA una rete di faglie che non può permettersi di non calcolare. Le Marche, l'Abruzzo, ma anche fenomeni geologici diversi come il Vesuvio sono parte di un organismo vivente che ha ospitato e ospita la popolazione italiana. Vanno spesi quindi più soldi per mettere in sicurezza le strutture o va cambiata la mentalità con cui si devono affrontare questi problemi?
In situazioni come queste è inutile attaccarsi all'anacronistico leitmotiv di denuncia ai governi (che per altro hanno magistralmente sistemato altrettante aree come il Friuli) che non hanno messo in sicurezza certe zone d'Italia geneticamente predisposte a subire attività sismica. Dovremmo forse chiederci se, a prescindere, una chiesa del XIV secolo può restare in piedi nel caso le vengono applicate le dovute prevenzioni antisismiche. La risposta è chiaramente no: la puntelli? Arriva il primo 6.5 e tira giù tutto. Le applichi le moderne tecnologie per rendere più flessibile la struttura? Prova tu a smontare una chiesa medievale e rimontarla con tutti i corredi artistici all'interno. Questa è la strada utile per ciò che c'è di moderno sul territorio, per ciò che si presta alla modernità di un sistema di sicurezza creato recentemente. Ricostruzione deve essere la parola d'ordine nel contesto storico-artistico. Tutto ciò che il patrimonio culturale italiano ci offre oggi è stato in buona parte soggetto a ricostruzioni nel corso dei secoli. Non possiamo pensare ai terremoti e ai cataclismi naturali come fenomeni puramente contemporanei che ci strappano qualcosa che è intonso da secoli. Quell'oggetto o quell'edificio distrutto, probabilmente ha subito nel corso della sua vita tante altre mutilazioni, per via di contingenze naturali o umane. Se accettassimo la caducità di un affresco di Giotto, invece di pensarlo come manifestazione di un'immortalità che supera addirittura Dio, probabilmente apprezzeremmo ancora di più la sua bellezza intrinseca. Certo, i beni vanno preservati, ma con criterio. Potremmo spendere altri mille miliardi di euro in sistemi di sicurezza per statue, affreschi e quadri, ma se si verificasse un 7.5, se esplodesse il Vesuvio (possibilità tutt'altro che remota), se cadesse un meteorite, il risultato sarebbe ugualmente distruzione. Dobbiamo accettare che anche l'Uomo ha dei limiti, tra cui la mortalità sua e delle proprie opere. Qualcosa che sicuramente non è un limite umano è la sua capacità di ricostruire, come attesta la zona colpita dal terremoto nel 1706.
03 novembre 2016