Evocazione, simbolo, paradosso: la maniglia come metafora della vita

La maniglia cerca la mano, la presuppone e vi si adatta tanto più quanto meglio è studiata e realizzata.

Apriamo la porta, poi la richiudiamo…

Tutti i giorni per molte volte compiamo queste azioni, a volte lievi e irrilevanti, talvolta necessari, atti che scandiscono il tempo, sempre e da sempre compiuti tramite un oggetto abituale, discreto o ben visibile, ma di solito poco percepito: la maniglia.

Chiudere, aprire, dischiudere, scoprire, svelare, nascondere, richiudere, serrare… tutto ciò richiede una gestualità delegata alla mano che pertanto della maniglia costituisce il punto di riferimento, l’elemento complementare e di compimento: la maniglia è per la mano; in questo senso l’oggetto si spinge indiscutibilmente al di là della mera funzione strumentale: la maniglia cerca la mano, la presuppone e vi si adatta tanto più quanto meglio è studiata e realizzata.

Maniglia, dal latino manicula, diminutivo di manua, “manciata”, ciò che riempie la mano, ed è ovvio quindi come essa appare strettamente legata, sia dal punto di vista formale che funzionale, alla possibilità di essere presa nella mano e attivata  grazie alle comuni facoltà prensili di questo arto. Storia e destino delle maniglia sono interamente determinati dal modo in cui l’uomo, attraverso i secoli, si è avvicinato alla porta e l’ha aperta, l’ha chiusa o solo socchiusa. Il solo gesto verso di essa, rispettoso o dissacrante, timoroso o spavaldo o addirittura l’assenza di tale gesto, ci parla della maniglia e della porta con la quale si completa e si fonde.

Ciascuno ha della maniglia un’esperienza di utilizzo diretta, eppure, perché ci capiti di accorgercene essa deve possedere caratteristiche davvero particolari. Diversamente la sua presenza ci sfugge, perché  profondamente inserita nella nostra quotidianità e per di più si trova appesa proprio là, in un punto in cui non abbiamo tempo o agio di pensarci sopra, nella curiosità un poco inquieta che precede l’ingresso, nel vago disagio che accompagna l’uscita. La decisione pertanto assume sistematicamente la forma di un gesto compatibile con il profilo di un sistema culturale, tecnologico, economico; e la maniglia, ancora oggi,  continua  a conservare il suo valore semantico, a essere il nodo che testimonia e perfeziona una scelta. Anche quando l’aprire/chiudere riguarda concetti e pensieri c’è una maniglia: quella parola, segno, immagine, icona che consente il ricordo, la connessione tra pensieri, idee, sentimenti. Così ogni maniglia è, prima di tutto, in ogni caso, in ogni ambito, il segno di una libertà decisionale.

Per questo le maniglie sono sempre state caricate di valori segnaletici e simbolici: dal Medioevo al Settecento le maniglie delle porte nobili e principali, si distinguevano per decori, dimensioni e stili da quelle delle postierle, porte secondarie e accessorie che conducevano all’esterno e, nei castelli e fortificazioni medioevali, portavano ai camminamenti per le guardie di ronda a difesa dell’edificio; mentre la grande porta che serrava i castelli, non solo per il diverso meccanismo del suo comando, non ha maniglie perché doveva poter essere aperta o chiusa solo dall’interno.

La mastaba, la falsa porta delle tombe egizie, non aveva maniglie poiché ciò che stava al suo interno - pur paradossalmente più grande, l’eternità, di quello che stava all’esterno - doveva essere interdetto agli spiriti del male (e ai ladri). Nei secoli la maniglia si configura per le molteplici modalità meccaniche dettate da un’interpretazione prima paleo-ergonomica e intuitiva della mano (orizzontale, verticale, rotatoria), da un uso appropriato – economico e simbolico – della tecnologia dei materiali del momento (dal bronzo al ferro al vetro all’ottone all’alluminio); e persino dalla manutenzione connessa con la disponibilità del lavoro servile (ancora oggi in certe cittadine o paesi, un segno di potere è determinato anche dai lucidi ottoni delle porte di avvocati, medici e politici).

Nel tempo, l’evoluzione tecnica e stilistica inseguirà poi una ricerca ergonomica cosciente e analizzata fino al dettaglio, e moltiplicherà le modalità di funzionamento, ma non perderà mai il suo inesauribile valore allegorico, presente anche quando la maniglia non c’è. Essa resta il cuore dell’accesso, un “biglietto da visita” che può sostituire un segno di benvenuto e divenire un invito e, se la maniglia settecentesca poteva arricchirsi di visibilità tecniche in relazione all’importanza che la tecnologia assunse dopo l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert (1772) della Francia illuminista, quella del Modernismo di Walter Gropius (1883-1969) assumerà la forma più consona alla produzione industriale di allora, ossia la più euclidea possibile: un cilindro di alluminio innestato su un parallelepipedo piegato.

Oggi come allora, le maniglie giocano con forme, colori, virtuosismi stilistici, materiali e design per trasformarsi a volte in sculture d’effetto, gioielli preziosi o complementi discreti a seconda delle occasioni.

Come un tempo la maniglia ci appare in tutta la sua carica emozionale che può riunire o separare spazi contrapposti: ci appare come quel qualcosa che mette in relazione un’azione che può essere nello stesso tempo di separazione o di collegamento, ed è tale il vincolo tra queste due azioni contrapposte da rivelare in essa l’unificante sintesi d’entrambe.  Sovente la nostra conoscenza della maniglia si limita alla sensazione suggeritaci dalla sua levigatezza, dal suo spessore, dalla sua manovrabilità, dalla sua forma ergonomica, al riflesso tattile che ricaviamo in quell’attimo di indugio della mano, in quell’attimo metaforico sospeso fra le innumerevoli aperture e chiusure della vita.

Confortevolmente distante da contenuti e significati misteriosi la porta e la maniglia delle nostre case di oggi non separa più due mondi inconciliabili, ma solo spazi contigui, tutti assimilati in un unico continuum ambientale. Il mistero però c’è…e rimane, contagiando non solo ambienti, ma anche persone: separate spesso, nella stessa stanza da porte invisibili, talvolta riunite, improvvisamente da impercettibili maniglie…

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