Dante storico
Dante, il nostro grande poeta nazionale, ha saputo dimostrare al mondo e all’eternità stessa di possedere un intelletto e una cultura che pochi altri si sono potuti permettere nella storia dell’uomo. Oltre al più celebre dei poeti, Dante è stato un, se non il primo, critico d’arte della storia, grazie ai canti IX e X del Purgatorio, un intellettuale politico grazie al Monarchia, e un linguista con il De vulgari eloquentia.
Proprio con quest’ultima opera, unitamente alla Divina Commedia, l’Alighieri svolge degnamente anche le funzioni di storiografo medievale.
Infatti, al principio del De vulgari, Dante analizza le materie degne di ricevere l’applicazione linguistica del volgare illustre, suddividendole in tre magnalia: “salis videlicet, venus et virtus” (l’utile, il piacere e l’onesto). Queste sono le direzioni a cui l’anima tende nelle rispettive dimensioni vegetative, sensitive e razionali.
In questi magnalia gli argomenti più alti corrispondono all’amore (amoris accensio), alla rettitudine della volontà, (directio voluntatis) e alla prodezza delle armi (armorum probitas). Questi sono i temi dei maggiori poeti volgari che hanno composto in lingua d’oc e di sì.Per quanto riguarda la prodezza d’armi, Dante elegge la poesia di Bertran de Born, trovatore perigordino e barone occitano della seconda metà del XII secolo, al ruolo di massima autorità in tema di canzoni di guerra al di qua delle Alpi. La maniera bertrandiana si distingueva in effetti per l’esplosività della discordia che scatena la guerra e la sua celebrazione, una descrizione viva e cruda dell’atto bellico sul modello della chanson de geste e una magnificazione estetica, forse anche esasperata, della battaglia.
È uno stile che traduce testualmente tutte le consuetudini e i costumi, le pratiche e i valori del signori feudali, identificati nella società soprattutto per l’esercizio delle armi; non stupisce infatti che Bertran stesso sia un miles, comproprietario di un feudo tra le regioni francesi di Limousin e Périgord. Il coraggio, la prodezza e la giovane età, per i feudatari sinonimi di vitalità e ascesa sociale, cozzavano, come da copione, con la disprezzata attività mercantile, indicatore sociale che discriminava i non-nobili, i popolari, coloro che lavoravano per guadagnare e che non avevano rendite come i signori.
È il sirventese, canzone politico-satirica, a contraddistinguere le opere di Bertran. Satira e giudizi su re e signori, ed esaltazione della guerra dove i milites conquistano vantaggi e prestigio, oltre che cifra stilistica principe, sono i due pilastri su cui poggia tutta la descrizione bellica, sovente espressa in forma di catalogo. Si inizia di solito con un’enumerazione dei territori coinvolti, per poi addentrarsi nel vivo dell’evento bellico. Bertran stesso si rappresenta sul suo cavallo, Baiart, mentre spacca teste con la sua spada; l’unica sua legge è la legge della guerra.
La guerra è il fondamento della società cavalleresca, del sistema delle corti e della vitalità dei milites. Essa sostiene tutti gli ideali e le ritualità che contraddistinguono la feudalità. Dante, con la scelta di Bertran, offre uno spaccato storiografico sulla società feudale di XII e XIII secolo, dove i signori, tendenzialmente medio-piccoli, si impongono nella società come portatori di una tradizione che li nobilita interiormente attraverso la partecipazione sul campo di battaglia, vero habitat ancestrale e naturale dell’aristocratico.
Inoltre il trovatore perigordino sembra un unicum in Italia, visto che Dante stesso scrive “non mi risulta che nessun italiano abbia finora poetato di armi” (Dve II II 8); questo a causa della mancanza di condizioni socio-politiche idonee al genere del sirventese. Basti pensare alla Magna Curia federiciana o ai comuni del centro-nord, ricchi di giudici e notai, podestà e capitani del Popolo, luoghi non proprio adatti alla diffusione della satira politica.
Lo stesso Federico II voleva evitare il più possibile le tendenze centrifughe rispetto alla corte e centripete verso la feudalità minore; il suo progetto di accentramento del potere e razionalizzazione geopolitica italiana, volto all’instaurazione di pace e giustizia, era in completa opposizione a quella discordia baronale che fomentava la società cavalleresca.
Ironia della sorte, saranno proprio i concetti di Pax Augustea e di ius Romanorum ripresi dalla cultura imperiale a prevalere sul particolarismo espresso dall’arbitrio esasperato della guerra bertrandiana.
Inoltre lo stesso Dante, nonostante l’apprezzamento per la poesia d’armi, pone Bertran nell’Inferno, tra coloro che seminano discordia (XXVIII), come pena per aver aizzato l’uno contro l’altro Enrico II ed Enrico il giovane, rispettivamente figlio e padre appartenenti alla dinastia dei Duchi di Normandia e re d’Inghilterra. Il suo contrappasso per aver diviso in vita, è di vagare in eterno con la testa separata dal corpo.