Alessandro, l'eroe di Gaugamela e della cultura

Un personaggio che troppo raramente viene preso in considerazione in termini di eroismo è Alessandro Magno. Spesso la sua figura viene chiamata in causa quando si parla di esplorazioni, scoperte, viaggi e solo in ultima analisi di conquista. Dove finisce l’esploratore e dove inizia il comandante? Dove termina l’uomo e dove inizia l’eroe?

L’aspetto prettamente biografico è qui meno importante rispetto al contesto delle sue imprese, che meglio di qualsiasi libro o film sono in grado di spiegare l’operato eroico di questo condottiero. 


Sono ampiamente noti gli scontri che Alessandro ebbe con l’achemenide Dario III. Il re macedone umiliò militarmente il sovrano persiano per tre volte, sul Granico, a Isso e a Gaugamela. Quest’ultima battaglia pose di lì a poco la parola fine al regno di Dario. Nel 332 a.C. Alessandro entrò in Egitto, fino a quel momento sotto il dominio persiano, quasi senza incontrare resistenza e con una buona accoglienza da parte della popolazione locale. Visitò l’oracolo di Siwah e di Amon, venne proclamato figlio di Zeus, principiò un culto personale che si evolverà nelle forme tolemaiche dei suoi successori, e con tutta probabilità ricevette anche un’incoronazione faraonica. Nel 331 a.C., un anno dopo il suo arrivo, lasciò l’Egitto per non tornarvi mai più. Già da questa parentesi egiziana emerge l’idea di ripercorrere orme di personaggi eroici che prima di lui intrapresero sentieri di questo tipo, come Eracle, figura mitologica da cui il padre di Alessandro, Filippo II, presumeva di discendere. 


Dopo l’Egitto, Alessandro proseguì col progetto che aveva iniziato partendo dalla Grecia: sconfiggere il secolare nemico del suo paese, la Persia. A Gaugamela diede prova di quanto fosse ormai un condottiero di talento. Divise le forze macedoni in tre parti: l’ala destra venne affidata a Parmenione, il grosso della fanteria al centro sotto gli altri generali, mentre l’ala destra, compresa la cavalleria, era sotto il comando diretto di Alessandro. Egli desiderava tagliare la testa del serpente con un colpo rapido e deciso. Deve aver coinvolto parecchio i suoi uomini per convincerli a gettarsi in una manovra pericolosa come questa, che poteva mettere a repentaglio in un attimo tutto ciò che aveva ottenuto fino a quel momento. L’idea era di neutralizzare prima di tutto i carri da guerra di Dario che, come da copione si schiantarono contro l’impenetrabile muro di sarisse macedoni. Successivamente i persiani attaccarono con le loro ali i fianchi avversari. Parmenione costrinse l’ala destra di Dario (un terzo delle truppe) a impegnarsi lontano dalle posizioni iniziali. Il centro dello schieramento macedone attirò il grosso della fanteria persiana su di sé. Alessandro con la sua cavalleria costrinse l’ala sinistra di Dario a inseguirlo; quando il re macedone fece scattare la trappola, i cavalieri persiani avevano già sguarnito la zona che assicurava a Dario stesso protezione. Alessandro dirottò il suo contingente all’improvviso verso quel vuoto che si era creato nelle linee persiane; voleva proprio quella frattura per irrompere con i suoi cavalieri e travolgere la guardia di Dario. Tuttavia, dopo aver spezzato la schiena al nemico, ma prima di raggiungere il re persiano, Alessandro venne informato che Parmenione non poteva più resistere e che le retrovie erano compromesse. Era davanti a un bivio, farsi massacrare per uccidere Dario o lasciarlo scappare salvando l’esercito e distruggendo quello avversario. Fortunatamente sul re folle prevalse il saggio condottiero, che sapeva bene che senza i suoi soldati non sarebbe più andato da nessuna parte.


Continuò l’inseguimento di Dario e dell’armata persiana in rotta. Tuttavia anche al raggiungimento di Babilonia e di Persepoli, la sete alessandrina di avanzata non diminuì, anzi aumentò, facendo posare lo sguardo del re macedone su un orizzonte ancora più lontano. Questo desiderio lo portò fino alla valle dell’Indo, ma lì il suo fiaccato esercito, che da quasi dieci anni lo seguiva senza sosta, oppose un netto rifiuto all’idea di avanzare ancora. Alessandro fu costretto a ripiegare verso sud-ovest e intraprendere la via verso Susa (l’odierna Shush), in Iran. A trentadue anni di età, Alessandro dominava su un territorio che andava dal Nord della Macedonia ai confini con l’Himalaya. Un condottiero “normale”, difficilmente avrebbe trascurato tutte le difficoltà che un’espansione del genere a quell’epoca avrebbe incontrato, a partire dai più banali dubbi su cosa si poteva trovare al di là delle montagne della Media, della Persia e della Parthia. Ciò che stupisce di più è che proprio un discepolo di Aristotele, filosofo che insegnava l’ideologia di piccolo raggio della polis greca, sia stato in grado di concepire un disegno simile. Già Filippo II unificò la Grecia sotto la sua guida; Alessandro evidentemente deve aver unito il desiderio di conoscenza aristotelico a quello di unificazione di suo padre, esasperando il risultato ai massimi livelli, come ben testimonia l’estensione delle sue conquiste.

Alessandro portò avanti il progetto di costruzione di un’ecumene ellenistica, un mondo in cui grazie alla conquista militare si arriva all’uniformità politica in cui diffondere la cultura greca. L’eroicità di questo gesto sta nella natura della sua conquista. Quando Alessandro giungeva in un luogo, non estirpava ciò che vi trovava imponendo un suo modus vivendi tipicamente greco, bensì coinvolse le élites cittadine; i territori conquistati non erano più autonomi, ma gli alti ranghi locali potevano mantenere un certo margine di gestione, oltre alla tutela delle tradizioni e della cultura del luogo. Alessandro desiderava creare una koiné, un’omogeneità linguistica, sociale e culturale in cui l’educazione greca potesse dialogare con gli elementi formali orientali, base necessaria per il confronto coi popoli asiatici.


Conquista, pacificazione, integrazione: questi erano i passaggi che nella mente di Alessandro era necessario fare per realizzare il sincretismo culturale tra ellenismo e tradizioni locali. Particolare fu la scelta delle armi da usare in questo processo. Alessandro puntò sicuramente molto sui sui battaglioni di lancieri, ma l’arma più forte che ebbe a disposizione e che usò egregiamente fu la fondazione delle città che costellarono il suo cammino. L’ambiente urbano era l’unico mezzo adeguato alla diffusione della cultura greca, grazie ai ginnasi dove si praticava la paidéia, l’educazione dell’uomo greco libero. Le numerose Alessandrie che sorsero furono forse anche più efficaci dei cavalieri macedoni nella conferma del potere di Alessandro all’interno di questo immenso impero, un potere che non pretese nulla dai suoi sudditi, se non la disponibilità a dialogare in mezzo alla diversità. Visto 2300 anni dopo, l’operato di questo eroe delle culture, offusca quasi il condottiero macedone di Gaugamela, che già per il coraggio e l’abilità dimostrati in quell’evento superò la gloria che Eracle si era guadagnato con le sue dodici fatiche.

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