Visto per voi: Mirò, la forza della materia al MUDEC di Milano
Il MUDEC, Museo delle Culture, di Milano ospita la Mostra "Mirò, la forza della materia", una monografica sull’artista catalano, che esplora il suo rapporto con la materia e con il primitivismo e che si inserisce in un percorso più ampio che ha già visto la monografica dedicata a Gauguin, altro grande maestro.
Il visitatore, all’ingresso della prima sala, è accolto dalle note di Duke Ellington, Blues for Joan Mirò, un brano improvvisato durante una visita alla Fondation Maeght, visita nel corso della quale il musicista ebbe modo di conoscere l’artista.
L’obiettivo primario della mostra è quello di mettere in rilievo il processo di semplificazione della realtà, un processo che riportava all’arte primitiva, punto di riferimento per l’impostazione di un vocabolario di simboli originale, ma anche come strumento per raggiungere una nuova percezione della cultura materiale.
E il percorso espositivo riesce nel suo intento, anche quello di coinvolgere visitatori giovani e meno giovani, sia con l’ampia offerta di opere, sia con il percorso che illustra in odo chiaro sia la vita che l’opera dell’artista, nonchè l’intento della mostra stessa; sia con le audioguide, divise fra adulti e bambini, che vengono così guidati in modo personalizzato attraverso il mondo della materia dell’artista, con un kids’ tour, un percorso all’interno della mostra specificamente dedicato a loro, guidati da un filo, amico di Mirò.
Nei primi anni di attività artistica, Mirò, lasciandosi influenzare dagli amici poeti che si lasciavano suggestionare da parole scelte a caso, aborre la pittura come tradizionalmente concepita e sperimenta, a partire dagli anni Venti del Novecento, materiali eterodossi e insoliti, procedimenti innovativi, infrange volutamente le leggi prestabilite per raggiungere le fonti più pure dell’arte, in un processo di “assassinio della pittura”, come lui stesso proclama nel 1931, fino alla fine degli anni Quaranta. Anni che lo vedono trasferirsi prima in Francia, a causa della guerra civile spagnola, e poi tornare in Spagna, a palma di Maiorca, nel tentativo di sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, insomma una fuga dalla violenza che incombe sull’Europa di quegli anni.
Mirò si dichiara affascinato da sempre dal pensiero, dall'arte e dalla cultura dell'estremo oriente: fin da giovane si interessa al ukiyo-e nipponici e rimane impressionato dal modo di reagire dei giapponesi davanti a una goccia d'acqua, a un sassolino, una manciata di sabbia, cose che sembrano non avete importanza.
In via del tutto generale, si può dire che Mirò usa il disegno per dare una rappresentazione dei protagonisti dei suoi lavori: spesso predomina il disegno in nero, talvolta la sottile linea grafica, sempre nera, definisce le sue donne, gli uccelli, le stelle, figure che si trovano quasi sempre nelle sue opere. In alcuni lavori, tuttavia, in netto contrasto con il segno grafico nero, la funzione rappresentativa è data dal colore, pur non rinunciando all’efficacia rappresentativa del tratto, spesso per delineare i contorni della figura, sottile sullo sfondo e negli spazi interni. Ciononostante, Mirò non rivela mai le fattezze delle sue figure, feminnili e non, non crea riferimenti alla fisionomia, nè alle espressioni del viso. Abolisce il ritratto completamente, per affermare lo schema.
La pittura di Mirò è poesia, e con la poesia di fonde: parole e frasi poetiche tracciate sottilmente in nero nei suoi quadri, ma anche il colore usato come fosse poesia, tanto che Mirò stesso scrive: "È la materia che governa il tutto. Sono contrario a qualsiasi ricerca intellettuale premeditato e morta. Il pittore lascia come il poeta: prima viene la parola, poi il pensiero. "
Spesso Mirò ha prodotto serie di dipinti connessi fra loro, per affrontare questioni pittoriche, formulare e riformulare un problema o un’intuizione, e ottenere una pluralità di risultati, diversi ma simili, connessi fra loro. E la connessione sta spesso nelle forme, nei segni tracciati, o nei colori, ma anche nella materia, nei supporti utilizzati, come le tavole di legno, o le assi di legno coperte da carta catramata. In molti casi Mirò stesso afferma che si lascia guidare dal nero, che è il primo colore che stende, seguito dal resto, che “gli viene suggerito dai neri”.
L’importanza della materia nell’opera di Mirò fa sì che incominci a interessarsi ad altre forme di espressione artistica, quali la scultura, gli arazzi, la grafica, e trovarvi un terreno fertile per la sperimentazione.
La scultura lo vede raccogliere oggetti diversi, quelli che colpiscono a sua immaginazione, quelli abbandonati sulle spiagge raccolti nel corso delle sue lunghe passeggiate: tronchi d’albero, contenitori, tutto può essere fonte d’ispirazione e Mirò, potendo disporre di un grandissimo studio, pone questi oggetti sul pavimento dello stesso, in attesa che la forza magnetica che da essi si sprigiona faccia sì che spontaneamente si attraggano fra di loro a comporre quella che sarà la base delle sue sculture di bronzo. E la mostra ben illustra il processo, sia virtualmente, sia con vetrine che mostrano gli oggetti che hanno composto una o più delle sculture esposte: teche contengono questi oggetti che sono stati la base della fusione in bronzo che ha portato alla scultura posta in mostra vicino ad esse.
Diventa così chiaro a tutti il procedimento utilizzato dal grande artista nella produzione delle sue sculture bronzee.
La parte virtuale è lasciata alle diverse postazioni dotate di Samsung Gear per la realtà virtuale, che permettono al visitatore della mostra di entrare nell’enorme studio di Mirò e di visitarlo da diversi punti di vista, vedendo come il maestro disponeva le varie opere a cui stava lavorando e gli oggetti da lui ritrovati che comporranno le sue sculture. Ma permette anche, ed è la parte più entusiasmante, benchè molto breve, di entrare in una delle opere pittoriche del maestro catalano.
Fra le tante tecniche e sperimentazioni in mostra, una parte importante rivestono le numerose incisioni fatte da Mirò, che inizialmente sperimenta con l’acquatinta e l’acquaforte, tecniche già in uso, che gli permettono di riprodurre serialmente alcune opere, come nei suoi desideri per rendere più fruibile e accessibile a tutti l’arte; alla fine degli anni Sessanta introduce il metodo del carborundum o carburo di silicio, che gli permetterà di arricchire la materia e potenziare il tratto, lavorando per addizione anzichè per sottrazione, come facevano le precedenti tecniche incisorie. E ottenendo così incisioni con spessore e qualità materica che non era possibile ottenere prima. Mirò sfida così anche i condizionamenti imposti dalla tecnica perchè non siano d’ostacolo alla sua libertà di espressione, ma anzi, la amplifichino.
Nel 1957 Mirò introduce il colore nel campo della scultura. Ciascun elemento viene definito da un colore diverso. Paradossalmente, come conseguenza della coloritura, tali elementi sembrano più irreali: le superfici rivide, rugosa, lisce o prose sono Siena riconoscibili sotto uno stato di come intenso. Le parti non si distinguono per la riuscirei identità in quanti oggetti? Ma sulla base del contenuto cromatico determinato dall'artista. È una concezione pittorico più che scultorea. E Mirò impone anche il punto di vista frontale alle sue sculture, lo stesso che ha il pittore che dipinge una sua opera.