Mattei, l'Italia della buona informazione
Il Giorno di Mattei fu tutto e niente. Il tentativo di ridurre le notizie a notizie, la cultura a cultura, in una grafica più immediata. Si affiancava la proposta di una pensiero raffinato ma non noioso, paradigma del desiderio furono le pagine sportive, dipinte della tinta snob e popolare di Gianni Brera. Un'altra Italia. Un'altra informazione
“E’ qui, dottore”. Si era in una cascina, fra risaie secche e campi non ancora riattrezzati. Erano due, che guardavano in giro, e poi, in giacca e cravatta com’erano, si misero a spostare macerie e assi di legno fino a scoprire strani tubi piantati nel terreno e chiusi da qualche valvola. Quel giorno l’ombelico dell’Italia era Cavriaga, Padania, dove anni prima si era scavato il primo pozzo di gas nella pianura. Chi parlò per primo era l’ingegner Zanmatti, che quel pozzo lo aveva scavato ma poi nascosto, perchè non lo vedessero i tedeschi. Zanmatti doveva essere epurato dalla nascente Italia, monarchica o repubblicana che fosse, cancellato, come tutti quelli che avevano detto sì a Salò.
Ma l’ingegnere non epurò Zanmatti, come gli era stato chiesto, come neanche liquidò l’Agip. Da quel cortile di cascina della bassa padania Enrico Mattei fece partire un sogno, un po’ da Cesare e un po’ da paraculo che a momenti avrebbe dato all’Italia un impero, altro che le ciance del crapone di piazza Venezia. Un grande sogno fu l’Eni. Miracolo italiano. Quello vero, di miracolo italiano. Astuto, Enrico Mattei. Lui, come tutti quelli che gli furono a fianco e alle spalle e intuivano bene l’importanza che aveva il termine cambiare il verso della gente con delle parole sulla carta. E’ sempre importante il senso della gente, specie se si deve fare a cazzotti con quelli che sembrano invincibili. Astuto, Enrico Mattei. Tanto che fece un giornale. Un grande quotidiano. Una testata da anteporre a quello dominante, storica, come il giorno si antepone alla sera. “Se la nostra pagina assomiglia a quella del Corriere vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa” diceva Gaetano Baldacci, il primo direttore della nuova testata “statale”.
Il Giorno, fu tutto e niente. Il tentativo di ridurre le notizie a notizie, la cultura a cultura, in una grafica più immediata. Si affiancava la proposta di una pensiero raffinato ma non noioso, paradigma del desiderio furono le pagine sportive, dipinte della tinta snob e popolare di Gianni Brera.
Il Giorno fu un giornale di soldi pubblici, con tutti i pregi ed i difetti che ne conseguono. Un giornale da debito, un giornale rivoluzionario ma che probabilmente aveva un’anima troppo giovane quando dovette fare i conti con la scomparsa di Mattei, avvenuta probabilmnte non per disgrazia nella stessa pianura dove la storia dell’Eni era partita. Mattei lasciò la parte mediocre dell’Italia a afre a pugni con l’altra metà, quella geniale, quella che d’istinto potrebbe sempre concludere qualcosa di garnde. Per il Giorno, inesorabilmente, la carta tornò carta, bobine da riempire, dimenticandosi del senso, dell’identità, della quantità. Il quotidiano delle partecipazioni statali da distinta carrozza diventò carrozzone, da casa del pensiero casa di riposo e ufficio di collocamento. Finì così, nella mediocre maniera nostra di finire le cose. Rimase comunque nell’aria, anche in Padania, la sensazione di una opinione che puoi blandire, plasmare. Oggi andare in certi posti è come a leggere il bigino di quella vicenda. Basta percorrere poche decine di chilometri in pianura padana, attorno a Milano. Paritire un po’ più a sud della cintura, verso Cavriaga dove si intuì l’Eni. Poi salire più a nord, lambire i campi di Bascapè, dove l’aereo di Mattei cadde . Una capatina in centro. A Milano. In piazza Cavour, a due passi dal Duomo, a guardare il palazzo del Secolo d’Italia che una volta la gente chiamava “palazzo dei giornali”. Oggi, dove un tempo c’erano le rotative, c’è una bellissima palestra. E più sopra, dove stavano le redazioni, uffici. Luoghi di conto e marketing, che non c’entrano niente con le parole e la carta stampata.
“E’ bello vivere, perché vivere è cominciare sempre, ad ogni istante” E per concludere, alla fine, facciamo un ricciolo deciso, verso la tangenziale e oplà, arrestiamoci davanti ai ripetitori di Cologno Monzese. Belli. Potenti. Moderni. Come dice Chaplin: “dobbiamo ridere alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire“ E’ lì che fecero il “Drive In”. E’ lì che ora fanno “Striscia la notizia”. E ridiamo. Va. Ridiamo…