L’Italia vera? E’ rimasta a Cefalonia
Oggi, è l’anniversario dell’inizio delle fucilazioni alla casetta Rossa degli ufficiali del generale Gandin. Un ricordo sempre più sbiadito, davanti ad un presente che ha da ricordare altro. E più si stinge quel ricordo, più spariscono i tratti dell’identità italiana.
9 settembre 1943. Cefalonia. C’era una scelta, arrendersi o
lottare. Pur nelle umane differenze, quelle truppe davanti alla confusione di
una patria silenziosa, presero la strada più ardua. Resistettero, finchè forze
e munizioni lo permisero.
La vendetta fu crudele, alla tedesca.
Lo sprezzo delle
convenzioni d’altra parte fa parte della guerra. Ma al di là dei fatti,
Cefalonia fu il segno di un gruppo di italiani che non scelse la convenienza,
ma il dovere. Un insieme che non mediò, magari discutendo alla fine scelse, unito, la strada più
ardua. Proprio mentre l’Italia andava disgregandosi in una guerra civile,
Cefalonia in quel giorno fu il segno del futuro. O meglio, il segno di un
futuro possibile. Perché nell’oggi, quel coraggio, manca.
E manca, all'oggi, anche la
memoria di quel gesto, che ormai riempie poche pagine, giusto qualche stanco
rituale.
E non ci accorgiamo, che proprio mentre attorno agli ufficiali e ai
soldati della Casetta Rossa si fa il silenzio, anche il senso della nostra
nazione si sbiadisce. Cosa siamo, se neghiamo il passato? Una nazione
arruffona, pressappochista, biliosa, qualunquista, da Grande Fratello, così
come appariamo sempre più.
Senza memoria di quel coraggio, dell'immagine che diamo di noi non c’è speranza.
Eppure sono stati i nostri nonni…