La libertà culturale trova la sua forza solo quando è radicata nella responsabilità e nel rispetto delle regole. È una questione di civiltà.

La recente polemica sullo sgombero del Leoncavallo ha acceso un dibattito che rischia di scivolare nella contrapposizione ideologica, dimenticando un punto essenziale: la diffusione della cultura, in tutte le sue forme, non può e non deve mai essere separata dalla cultura della legalità

Immagine AI

L’Italia è un Paese ricco di associazioni, fondazioni, collettivi e realtà culturali che ogni giorno lavorano per promuovere l’arte, la musica, il teatro, la partecipazione civica. La maggior parte di queste realtà lo fa rispettando le regole, partecipando a bandi pubblici, chiedendo l’assegnazione di spazi comunali a canoni calmierati e, quando serve, accedendo a fondi pubblici destinati alla promozione della cultura. Il sistema esiste, funziona e offre opportunità concrete a chi decide di muoversi all’interno di un quadro normativo chiaro e condiviso.

Il punto è semplice: nessuna legge vieta di proporre progetti ambiziosi, innovativi, anche radicali, purché ci si muova dentro il perimetro della legalità. Un’associazione come quella delle “Mamme antifasciste”, per esempio, potrebbe tranquillamente partecipare ai bandi comunali, presentare progetti culturali seri e ottenere risorse economiche per realizzarli. Accade già in tutta Italia: ogni anno migliaia di enti del terzo settore ottengono contributi per iniziative che spaziano dall’educazione giovanile alla valorizzazione del patrimonio artistico, dalla musica indipendente all’inclusione sociale.

Il problema nasce quando si pretende di essere un’eccezione. Quando si rivendica un presunto “diritto” all’occupazione abusiva, scavalcando le regole e bypassando i percorsi istituzionali che garantiscono equità e trasparenza. È qui che la discussione si fa delicata: non si tratta di criminalizzare esperienze culturali né di negare il valore storico e sociale che alcuni spazi occupati hanno avuto nel tempo. Si tratta, invece, di riconoscere che le regole esistono per tutelare tutti, anche le stesse associazioni che vogliono creare cultura.

Legalità e cultura non sono mondi contrapposti: sono due facce della stessa medaglia. Una società che non rispetta le regole mina le basi stesse della convivenza civile, e questo vale per tutti, indipendentemente dall’orientamento politico o dalle finalità dichiarate.

Per questo il dibattito sul Leoncavallo e su realtà simili deve essere misurato, serio e razionale. Non servono slogan, non servono battaglie ideologiche: serve la consapevolezza che, per crescere, la cultura deve camminare fianco a fianco con il rispetto delle istituzioni e delle leggi. Le opportunità ci sono. Gli strumenti ci sono. Le scorciatoie, invece, non possono e non devono essere un’opzione.

In definitiva, la vera sfida non è salvaguardare un luogo, ma affermare un principio: che la libertà culturale trova la sua forza solo quando è radicata nella responsabilità e nel rispetto delle regole. È una questione di civiltà.
Giulio Carnevale


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