L’attore comico: da funambolo ad attore
Furono gli acrobati, i ballerini, i contorsionisti, gli illusionisti, i clown, i fantasisti e i funamboli in genere che diventarono gli interpreti delle prime comiche.
Si presentò quindi un attore che per esperienza e formazione risultava particolarmente adatto a prestare la propria immagine al grande schermo: lo scambio tra questi tipi di spettacolo e il cinema avvenne per così dire naturalmente nei primi anni del novecento trasformando gli “artisti” in veri e propri attori cinematografici.
Il successo iniziale del cinema comico derivò anche dalla predisposizione marcatamente popolare che il nuovo spettacolo dimostrò nei suoi primi anni di vita fino alla metà degli anni ’10, anni in cui la cinematografia stava ancora cercando la sua strada verso un assetto definitivo nei tre settori chiavi della: produzione, distribuzione e gestione commerciale (strada che troverà solo dopo il definitivo passaggio dalla fase del corto-metraggio a quella del medio e lungo-metraggio).
Con il metraggio si usava definire la lunghezza di un film o di singole parti dello stesso, espressa in metri. Per la pellicola professionale a 35mm, all’attuale velocità di scorrimento di 24 fotogrammi al secondo, un minuto di proiezione corrisponde a 27,36 metri, un’ora a 1.641,60 metri. Nel cinema muto la velocità di scorrimento era di soli 16 fotogrammi al secondo. Queste misure stabilirono la suddivisione dei filmati in: “corto-metraggi”(fino a 15-20 minuti), “medio-metraggi”(fino a 50-70 minuti) e “lungo-metraggi (oltre i 70 minuti). Nell’affrontare la realizzazione di un corto di natura comica, come era all’origine, diventò necessario conformarsi inoltre a delle metodiche “tipo”, ponendo l’accento su alcuni elementi fondamentali per meglio definire la tipologia del filmato, quelle più comunemente utilizzate furono: la “gag meccanica”, quella “narrativa” e il così detto “tormentone”. Si partiva innanzi tutto pensando ad una storia ordinaria adatta ad essere arricchita da elementi comici. La storia da raccontare non necessariamente doveva essere comica, anzi di solito non lo era mai. Non fu casuale infatti, che circa l’ottanta per cento del cinema comico europeo e americano, degli esordi, prestò grande attenzione a temi legati alla conflittualità sociale, dove si muovevano una vera folla di disoccupati, vagabondi, licenziati, carcerati o ex carcerati, personaggi senza fissa dimora o a quelli congiunti alle ostilità familiari/domestiche/amicali, in cui mogli o mariti traditi, amicizie ingannate, o parenti “serpenti” si muovevano dissimulando pene d’amore, drammi sentimentali o intime sofferenze......che inducevano nello spettatore risate a non finire!
Questi automatismi, diventeranno col tempo, sempre più spassosi quanto più sarà viva la capacità del regista di collocarli al momento giusto: le inquadrature comiche erano quasi sempre strettamente legate tra loro, si pensi all’attore che sul set diceva: “parto domani mattina alle quattro così eviterò il grande traffico” e, nella scena successiva si vedeva il medesimo che, in coda su strade o autostrade, stritolato nel traffico, “imprecava” come un indemoniato. Il lato comico che, solo in apparenza veniva dato dalla gestualità dell’attore, in realtà risultava essere il frutto di una perfetta correlazione tra le due scene. Se si fosse inserita un’altra immagine, l’effetto comico sarebbe stato senz’altro meno convincente e accattivante. Il cinema comico imparerà presto che la comicità deve risiedere nelle singole scene di una trama drammatica o sentimentale che sia e che questa, doveva inoltre essere, come si usò dire, “una questione di giuste pause”.
Ma, recitare in modo comico non risultò mai facile, non bastavano pause e pretesti ridicoli per provocare il riso, a volte bisognava prendere le cose molto più seriamente di quanto non accadeva in altri generi di film. Anche se si potrebbe pensare diversamente, “ridere”, per l’attore interprete di una scena comica, poteva voler dire dimezzare le risate del pubblico: egli doveva riuscire a mantenere uno stato di totale “emarginata ignoranza” sulla propria identità, sulle proprie azioni e sui risvolti che ne derivavano, solo così poteva creare quella sorta di invisibile, ma allo stesso tempo corporea, complicità con lo spettatore. “E’ comico ogni film che si propone come obiettivo quello di far ridere” (Enrico Giacovelli, Breve storia del cinema comico in Italia).
Ora, prima di approfondire l’evoluzione produttiva, artistica e narrativa del genere comico nei vari paesi, partendo naturalmente dall’Italia, (nazione che vedrà nascere, crescere, diffondere e “perdere” in pochi anni, l’egemonia cinematografica di questo genere nel mondo), ritorniamo brevemente all’importanza dei “generi” per classificare una pellicola perché questa, fu alla base dell’intera produzione filmica italiana. La possibilità, da parte della produzione, di realizzare un adeguato schema narrativo per andare incontro ai gusti del pubblico, e di poterlo ripetere apportando solo varianti più o meno significative, portò la nostra cinematografia a delineare quei generi (oltre al comico), documentaristico, storico - kolossal, fantastico e melodrammatico-passionale che divennero peculiari modelli produttivi, almeno fino alla fine degli anni dieci del novecento. Non fu affatto casuale che, almeno fino all’avvento del lungometraggio, il “genere” fu uno dei pochi dati scritto, insieme al titolo del film, riportato su locandine, manifesti e volantini pubblicitari.
Kolossal - epici e serial sentimentali - romantici furono i temi delle proiezioni che approdarono nelle sale, prima teatrali, cinematografiche poi, dei primi del novecento a compiacimento di aristocratici e teatranti e, toccarono il loro apice, alla vigilia della prima guerra mondiale. Questa trasformazione portò anche alla nascita dei film a soggetto, che per gran parte del periodo muto affiancarono il filmato documentaristico fino a sostituirlo quasi completamente all’inizio della prima guerra mondiale.